La lezione di Crepet ▷ “Come si esce da una guerra? Il popolo ha un solo modo per farlo”

I fatti di Damasco sono soltanto la punta dell’iceberg: la situazione in Medio Oriente non è mai stata così in bilico. In Siria i “ribelli”, come sono stati definiti i jihadisti che hanno causato la fuga di Assad, hanno preso la capitale costringendo alla ritirata le forze governative. La polveriera mediorientale è pericolosamente esposta, basta una scintilla per causare l’ennesimo disastroso conflitto. Disastroso per chi? A farne le spese è sempre, in primis, chi quelle terre le abita. Dalla Striscia di Gaza alla guerra in Ucraina, passando per Siria, Libano, Iran, a pagare un conto salatissimo sarà la popolazione civile, troppo spesso costretta a fuggire o, nel peggiore dei casi, perire a causa dei conflitti.

Paolo Crepet ha analizzato la situazione ai microfoni di Un Giorno Speciale: “Sentiamo parlare ogni giorno di nuovo conflitti, qualcosa ora dovrà cambiare. Credo che dovremmo affrontare le cose con benevolenza, un termine meraviglioso. È una parola che permette di affrontare anche situazioni terribili, persino l’orrore. Pensiamo, ad esempio, a cosa succede dopo una guerra. Me lo sto chiedendo proprio in questi giorni, riflettendo su ciò che è accaduto in Siria: come farà un popolo a ritrovare la benevolenza, sapendo che una parte di esso ha torturato, inflitto sofferenze indicibili, fino alla morte? Come si può ricostruire qualcosa?

La risposta non è certo cercare vendetta andando casa per casa a farsi giustizia, anche se questa reazione è comprensibile, profondamente umana. Lo abbiamo vissuto anche noi nel dopoguerra. Quante storie di rivincite, di vendette personali si sono consumate! Questo accadeva perché si sapeva che alcune persone erano state complici di atrocità inenarrabili. In Germania, ad esempio, questo fenomeno è stato particolarmente diffuso.

Eppure, la benevolenza, ad un certo punto, deve emergere. È l’unica chiave di mediazione possibile, perché altrimenti non si fa che perpetuare l’odio e la maledizione. Ma questo cosa produce? Cresciamo bambini e bambine terrorizzati dall’idea di stare al mondo. La benevolenza diventa, quindi, anche una forma di prevenzione, perché altrimenti le guerre non finiranno mai. Certo, c’è chi sostiene che non finiranno mai davvero. Io, però, credo che possiamo trovare qualcosa di più intelligente della distruzione: la costruzione.

Costruire richiede benevolenza. Per costruire un ponte, devi essere fiducioso che le persone che quel ponte raggiungerà, pur essendo diverse da te, siano disposte a incontrarti. Altrimenti, il ponte non avrebbe senso“.