La Juve fa, la Juve disfa; nel frattempo, il nuovo arrivato apre la porta: Kolo Muani la gira, ma il Napoli lo svantaggio l’aggira, perché da quel momento in poi inizia la pressione degli uomini di Antonio Conte, che cominciano a ottenere un duplice risultato: si caricano progressivamente e al contempo fanno emergere la fragilità juventina.
Anguissa, Zambo e…terno, perché lo trovi ovunque e sembra che l’acido lattico lo trasformi in propellente atletico; poi lo trova Politano con il goniometro e sul secondo palo c’è il decollo del pareggio.
Una cosa si capisce, dalla coralità azzurra: con Conte non basta essere fedelissimi, lui pretende solo pretoriani. E allora ecco che Spinazzola si sacrifica sull’altare del fallo tattico, o che Simeone protegge la palla come un nido di rondinotti.
Quando Locatelli abbocca alla finta di McTominay e può solo esibire un riflesso condizionato da wrestling, si capisce che la Signora ne avrebbe avuto ancora per poco in ogni caso.
Il Napoli se ne va, con l’unica rotta del vertice della Serie A davanti alla prua, lasciando una scia di spuma e frustrazione per chi insegue conscio del fatto che Antonio quando comincia a salutare, in genere se ne va.
Nel frattempo, Lukaku va a duecento, in tutti i sensi vista la rimessa a punto, quel punto che stasera manca alla Juventus, come se l’abbonamento fosse scaduto.
Paolo Marcacci
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