Apprendo in questi giorni che presso l’Università La Sapienza di Roma è stato avviato il primo corso accademico dedicato integralmente alla “lotta contro la violenza di genere“. Proprio così, presso l’Università La Sapienza di Roma, gli studenti, sia maschi sia femmine, si intende, avranno a disposizione un corso, il primo di questo genere, consacrato al tema della lotta contro la violenza di genere, un tema particolarmente caldo in questi anni, del quale abbiamo già detto. In buona sostanza riteniamo che sia intrinsecamente ideologica l’impostazione con cui si svolge questo tema, fermo restando ça va sans dire che ogni violenza, compresa quella di genere, è ampiamente condannabile e deprecabile.
Il fatto che ora l’Università la Sapienza lanci il primo corso accademico dedicato a questo tema rappresenta una prova ulteriore, se ancora ve ne fosse bisogno, del fatto che le università, da luoghi di produzione del sapere critico e inconciliato, sono già da tempo divenuti templi del pensiero unico politicamente corretto. Vuoi anche palestre di addestramento all’omologazione delle menti e dei cuori.
Va da sé, come già dicevo, che ogni violenza deve essere combattuta. Ma quale rapporto vi è tra questa banale verità, che quasi pare superfluo dover ricordare – ma nel tempo della menzogna universale è d’uopo ricordarlo – e tra i corsi universitari? Come è noto, o come noto dovrebbe essere, le università dovrebbero ideali per insegnare le basi della cultura, dovrebbero indurre le teste a recepire il senso della nostra civiltà e le basi del pensiero pensante. E invece, come poc’anzi ricordavo, si stanno già da tempo riconfigurando come semplici palestre di addestramento al pensiero unico politicamente corretto.
Per quel che concerne la questione della violenza di genere, ho già più volte espresso la mia posizione e lo faccio anche ora: in estrema sintesi, ferma condanna della violenza di genere, senza tuttavia precipitare nella trappola dell’ideologia neoliberale. Ideologia neoliberale che impiega il tema della violenza di genere per produrre una narrazione a mio giudizio fittizia e aberrante, una narrazione incardinata sul conflitto permanente tra uomini e donne, come se le donne fossero in quanto tali le vittime e gli uomini fossero in quanto tali, senza distinzioni, i carnefici, addirittura i femminicidi in pectore.
Desidero ribadirlo con enfasi per l’ennesima volta. Il conflitto, l’unico realmente esistente oggi, è il conflitto di classe tra servi e signori in verticale, uomini o donne che siano. Far credere che il conflitto sia in orizzontale tra uomini e donne significa né più né meno che piegarsi al giuoco nefasto del capitale, il quale capitale mira a frammentare il conflitto di classe e a ridisporlo esizialmente in orizzontale all’interno della medesima classe.
Autrement dit, il nemico non sono gli uomini e gli amici non sono le donne. Una donna sfruttatrice è nemica, una donna sfruttata è amica, proprio come un uomo sfruttatore è nemico e un uomo sfruttato è amico. Non capire questa ovvia banalità significa, sic et simpliciter, rifluire nell’ampio parco umano dei capita insanabilia, manipolati ad arte dalla raison liberale e dalla sua capacità di produrre ipertroficamente conflitti tutti interni alla medesima classe, acciocché la lotta di classe non si ridisponga nella forma verticale del conflitto fra servi e signori.
Home Attualità