Un siluro all’incrocio e i contenuti passano in cavalleria. Potrebbe essere questa la sintesi di un quarto di finale nel corso del quale le luci di San Siro, tanto care al Professor Vecchioni, nerazzurro della prima ora, sono state velate dalle pause che, a turno, Inter e Lazio si sono concesse.
Carte rimescolate per entrambi i tecnici, con molte decisioni figlie della necessità, oltre che del turnover, a cominciare dai portieri; per una gara all’inizio della quale sembra essere la Lazio a entrare meglio in partita, per poi subire un ritorno dell’Inter che fa valere la propria muscolarità, a prescindere dagli interpreti. A onor del vero, prima della splendida rete di Arnautović, fiorita sugli sviluppi di un corner a uscire di Dimarco, l’occasione pericolosa, l’unica del primo tempo, era stata biancoceleste, con il sinistro di Isaksen a incrociare verso il secondo palo e la risposta di Martinez ad alto coefficiente di difficoltà.
Nella ripresa, sotto una pioggia a tratti intensa, l’Inter si affida ai singoli per capitalizzare il vantaggio e, grazie anche ai subentri di Dumfries e Chalanoglu, cerca con l’aumentata qualità il raddoppio, che arriva sì, ma con un “rigorello”, per non dire per l’ennesima volta rigorino: Gigot sposta Correa in area, sbilanciandolo. In termini di regolamento ci sta.
Da segnalare i cori di San Siro quando Frattesi esce e, per i sussulti laziali, la traversa di Pedro, entrato per l ‘ultima mezz’ora.
Un’Inter abbastanza inedita per smaltire l’ordinaria amministrazione che la porta in semifinale; una Lazio decorosa contro la squadra che in campionato le aveva inflitto una vera e propria umiliazione all’Olimpico.
Paolo Marcacci
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