Giorgetti lancia l’allarme sui grandi gruppi bancari con qualche anno di ritardo

Durante un convegno, il Ministro dell’Economia, l’onorevole Giancarlo Giorgetti, ha espresso preoccupazione per il comportamento delle grandi banche italiane. Nonostante gli elevati profitti registrati, sembra che queste si stiano allontanando dalla loro missione originaria: fornire credito alle piccole e medie imprese.

Ma guarda un po’, che strano. Giorgetti ha sottolineato la necessità di preservare la biodiversità bancaria, ovvero un sistema finanziario che includa sia grandi istituti sia realtà più piccole, capaci di sostenere direttamente le PMI. Guarda caso, è esattamente ciò che sostenevo dieci anni fa in merito alla riforma delle banche di credito cooperativo e delle banche popolari. Lo ripeto da anni, per chi mi segue: quando le normative comunitarie definiscono alcune realtà come less significant banks—banche meno importanti—con un’accezione quasi dispregiativa, in realtà si crea una distinzione tra figli e figliastri. Altri Paesi, infatti, si sono preoccupati di mantenere le proprie banche di dimensioni ridotte, mentre in Italia questo principio è stato trascurato.

Tra l’altro, qualcuno mi dovrebbe spiegare quali sarebbero oggi le grandi banche italiane, perché io non ne conosco. Conosco solo banche quotate che non sono più di proprietà italiana, ma controllate da grandi fondi speculativi internazionali. Eppure, per anni ci hanno detto che “piccolo è brutto” e che erano necessarie aggregazioni per creare grandi gruppi bancari. È stato un vero e proprio mantra per l’onorevole Draghi e per l’intero sistema bancario e finanziario che ha governato negli ultimi anni.

Dopo la crisi, non solo tutte le banche hanno subito ingenti perdite, ma mentre alcune sono state salvate politicamente, le banche più piccole sono state commissariate, generando panico tra gli addetti ai lavori e gli imprenditori.

Ed eccoci qui: oggi qualcuno ha il coraggio di tornare sui propri passi e ammettere che la creazione di grandi gruppi bancari, orientati esclusivamente al profitto e agli investitori, ha portato alla perdita della finalità sociale tipica delle banche territoriali. Queste ultime garantivano un reale supporto all’economia locale e alle imprese, che rappresentano la stragrande maggioranza del tessuto imprenditoriale italiano.

Queste cose le ho dette e scritte, in libri e articoli. Le discutevo spesso con il compianto avvocato Corrado Sforza Fogliani, presidente delle banche popolari, con cui condividevo le stesse preoccupazioni. Nei nostri dialoghi emergeva sempre un punto chiave: il tessuto imprenditoriale italiano è fatto di piccole, medie e micro imprese, che necessitano di banche non solo adeguate alle dimensioni dei territori in cui operano, ma anche realmente interessate a investire in quei territori. Non come i grandi gruppi bancari internazionali, che prendono i soldi qui per portarli altrove.

Malvezzi Quotidiani – L’economia umanistica spiegata bene con Valerio Malvezzi