La Germania esprime un’autorevolezza nel palleggio tale da farla sembrare una squadra di club.
L’Italia è, invece, il frutto dei nostri club: del livello attuale della nostra Serie A, della politica federale che c’è – o non c’è? – dietro di essi, dell’esterofilia un tanto al chilo che sta massacrando i nostri vivai e arricchendo un sacco di intermediari. Che poi Lega e FIGC non vogliano sentirselo dire, è un’aggravante, una delle tante, francamente troppe.
A San Siro eravamo stati ingenui, a Dortmund abbiamo voluto essere autolesionisti. Al punto tale che in apertura di ripresa arriva un regalo dei tedeschi, ossia qualcosa che nella storia non era mai accaduto, in nessun ambito, per il gol di Kean. Poi, nasce un’altra partita.
Donnarumma o Donna – rhum, visto lo stordimento che coglie il portiere azzurro dopo la bella parata su Kleindienst? Dubbio legittimo ma, ironie a parte, magari – magari – potessimo dare tutte le colpe al nostro portiere: a parte la clamorosa distrazione, sul terreno della quale Gigio trascina tutti i compagni di reparto, l’Italia si consegna al blasonato avversario in troppe porzioni di campo, perdendo troppi duelli individuali.
Tutto ci si sarebbe potuto aspettare, ma non ciò che è accaduto nel primo tempo; ancora più straniante, a maggior ragione, il fatto che l’Italia riesca a rientrare in partita, con il secondo gol di Kean e con ragionevoli lamentele per un fallo evidente di Schlotterbeck su Di Lorenzo. Però una certa distrazione tedesca possiamo ritenerla comprensibile, dopo un primo tempo in cui l’Italia è stata vicina allo zero, quanto a coefficiente di difficoltà. Una mezza Italia alla fine prima rende più decorosa quella che sarebbe una doppia sconfitta, poi pareggia il conto con il rigore che Jack Raspadori calcia in modo perfetto. Peccato per le troppe, imperdonabili distrazioni, perché alla fine si moltiplicano gli interrogativi e diventa più scorbutico adesso il cammino sulla via di un Mondiale in vista del quale la vera impresa sarebbe non riuscire a qualificarsi.