Ci sono – i nostri avversari -, quelli di sempre, come amava definirli Bruno Pizzul, per il quale c’è il posto apparecchiato nella tavola di ogni telespettatore, come è stato per mezzo secolo di serate azzurre, quando non c’era l’automobilina che recapita il pallone a centrocampo e gli inni nazionali si ascoltavano in silenzio, senza fischiarne nessuno.
Spalletti, che con la barba folta sembra Padre Pio da Certaldo, presenta un’Italia compatta, a maggior ragione perché senza il riferimento di Retegui davanti, pronta alle transizioni offensive pilotate dall’intensità di Tonali e con la variante dei cambi di gioco a lunga gittata, come quello eseguito alla perfezione da Bastoni, il quale dà avvio all’azione del gol dell’ex milanista, grazie al quale gli Azzurri chiudono in vantaggi la prima frazione di gioco.
La Germania rientra, nella ripresa, con il piglio di chi intende guadagnare metri sin dal primo giro di lancetta, cominciando a mettere in mezzo un pallone dopo l’altro, alzando la soglia agonistica e facendo valere la sua possanza fisica.
Dopo quattro minuti nel corso della ripresa, arriva il pari tedesco, grazie a un colpo di testa di Kleindienst, entrato in luogo di Burkardt, su invito da destra di Kimmich e con un decollo di testa sostanzialmente indisturbato.
Si alzano i toni e anche i Tonali, a ridosso dell’ora di gioco: nessuna delle due vorrebbe perderla, in primis; quindi, qualche spintarella ci può stare.
Diremmo che alla fine la Germania ha avuto più testa, visto il raddoppio di Goretzka, di corner di Kimmich, ancora lui e il suo destro dal quale stasera è scaturita la vittoria tedesca, alla fine.
Cosa è mancato, agli Azzurri, per evitare l’onta sotto gli occhi di una Milano alla fine delusa? La buona volontà no e nemmeno la corsa: allora dobbiamo lamentare per forza la mancanza di qualità nella rosa e nel panorama generale del nostro calcio. Lo sapevamo, ma in alcune occasioni fa più male che in altre.