Su Ventotene nessuno ve l’ha detta giusta: i veri lati oscuri non li ha citati neanche Meloni

In questi giorni è tornato di moda parlare del Manifesto di Ventotene del 1941, firmato da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Giorgia Meloni, vestale del neoliberismo filobancario, l’ha attaccato e Roberto Benigni, aedo del pensiero unico liberal progressista, l’ha celebrato. Per parte nostra riteniamo che il Manifesto di Ventotene sia la base dell’antisovranismo di sinistra, coerente con il nuovo assetto liberal e spiccatamente anticomunista della New Left di completamento del rapporto di forza egemonico.

Il Manifesto di Ventotene poteva effettivamente svolgere un ruolo decisivo nella legittimazione insieme nell’occultamento dell’adesione integrale delle sinistre post-marxiste al turbocapitalismo vincente e al nuovo ordine mondiale liberista. Così è stato con l’Unione Europea. Con la sua carica antifascista e, insieme, anticomunista, il Manifesto di Ventotene era la piattaforma ideale per la riorganizzazione dell’orientamento liberal di una sinistra pronta tanto a scagliare anatemi contro i totalitarismi rossi e bruni del passato, quanto ad accettare silenziosamente l’immane violenza invisibile del fanatismo dell’economia classista.

La tesi centrale dei firmatari del Manifesto era quella in coerenza con la quale la sola via per mettere definitivamente in congedo la belligeranza tra gli Stati sovrani, sfociata nell’atrocità dei conflitti mondiali, consisteva nel trasferimento della loro sovranità assoluta a un’autorità federale, ciò che in futuro sarebbe appunto avvenuto con la genesi dell’Unione Europea. Le istanze socialiste, di per sé nobili del Manifesto di Ventotene, dovevano di necessità risultare impossibili nel quadro di una sovranazionalizzazione che, svuotando le sovranità, era destinata a porre in essere il primato dell’economico sul politico e la centralità di organismi postnazionali e postdemocratici. L’attuazione del sogno di Ventotene avrebbe così condotto non già al socialismo cosmopolitico, bensì al dominion no border della classe egemonica.

“L’Europa libera e unita”, evocata dal titolo originale del Manifesto, è tale con l’Unione Europea solo per la classe dominante, unita e libera di massacrare senza limitazioni di sorta il polo dei dominati. I firmatari del Manifesto di Ventotene finirono quindi per precipitare nella figura hegeliana dell’anima bella, le cui buone intenzioni vengono puntualmente travolte dal corso del mondo. I firmatari di Ventotene mancavano del robusto senso del realismo di cui invece era dotato Lenin, allorché, senza perifrasi, asseriva che in regime capitalistico la fondazione degli Stati Uniti d’Europa sarebbe stata semplicemente l’unione dei capitali d’Europa contro le classi dominate d’Europa: ciò che è stato appunto con l’Unione Europea.

Dunque il Manifesto di Ventotene va respinto, ma non per le goffe motivazioni addotte dalla destra neoliberale di Meloni. Va respinto su base leniniana e gramsciana, nella consapevolezza che l’Unione Europea non è un sogno democratico, come crede ancora Benigni, ma il trionfo del turbocapitalismo antidemocratico. L’Unione Europea, dunque, è il principale nemico in Europa delle classi lavoratrici.

Possiamo concludere, né Meloni e destra bluette, né Manifesto di Ventotene e sinistra fucsia.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro