“Putin ha dimostrato di essere un vicino ostile, non ci si può fidare di lui, può essere solo scoraggiato. La pace nella nostra unione non può più essere data per scontata (…) Questo è il momento della pace attraverso la forza“. Queste le parole di Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione UE, che il 4 marzo scorso ha annunciato l’approvazione di ReArm Europe: un piano di riarmo dei paesi europei da circa 800 miliardi di euro. La misura vuole essere una risposta chiara alle ultime vicissitudini geopolitiche relative alla drastica interruzione del sostegno economico, strategico e militare all’Ucraina da parte degli Stati Uniti, nell’ambito del conflitto contro la Russia.
La discussione in diretta mondiale alla Casa Bianca con Zelensky è solo il simbolo più superficiale, la punta dell’iceberg, della sferzata che il presidente Donald Trump ha dato alla politica estera del suo paese. Per la prima volta dal 1945, il paradigma politico del mondo si sta rendendo protagonista di una vera e propria rivoluzione strutturale. Dall’assetto dualistico ‘occidente-oriente’ si sta passando a una nuova realtà multipolare, nella quale sono le grandi potenze economiche (e demograficamente ricche) a contendersi il predominio. In un’equilibrio precario minacciato dai rigurgiti nazionalisti e le necessità ‘procurate’ dai flussi della globalizzazione.
In modo del tutto inedito dopo decine di anni, Trump ha assecondato il sentimento dell’ “Inner America“; quella operaia, egocentrica e indifferente (se non ostile) all’Europa e al resto del mondo. Il Vecchio Continente è stato abbandonato platealmente dai ‘coloni’ americani, tra le minacce dei dazi e il diverso grado di coinvolgimento (e interesse) nei confronti di Putin e del confronto russo-ucraino.
ReArm Europe, di cosa si parla nel concreto?
Una reazione a tutto questo, dunque, non solo è giusta, ma anche fin troppo necessaria. In questo nuovo assetto globale, un’Europa più coesa dal punto di vista strategico e militare è più che auspicabile. Ma in cosa consiste effettivamente ReArm Europe? È davvero la soluzione migliore?
Prima di rispondere al secondo di questi quesiti, concentriamoci un momento sui punti fondamentali di questa misura. Il primo riguarda la porzione di PIL che ogni Stato membro dell’UE dovrà spendere per la difesa. In accordo con le clausole NATO, la quota percentuale minima è stata fissata al 2%. Questo provvedimento, è accompagnato per forza di cose dall’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità. Non si tratta di un semplice dettaglio: gli Stati UE dovranno infatti sforare del 3% il rapporto tra deficit e PIL nazionale senza rischiare alcuna sanzione, a condizione (essenziale) che ciò avvenga per investire nella Difesa.
Altri soldi arriveranno (seppur come diritto opzionale di ciascun governo) dai Fondi di Coesione Europei. Cioè quelle sezioni del bilancio dell’Unione che normalmente sono dedicate al sostegno delle regioni economicamente e socialmente più arretrate dei paesi membri. E per la prima volta in assoluto, la Banca europea per gli investimenti (BEI) avrà facoltà di operare come banca pubblica e elargire finanziamenti nel settore militare, a differenza di quanto aveva sempre stabilito il suo statuto.
Infine, quello che forse è l’aspetto principale del progetto: la previsione di un pacchetto di crediti agevolati da 150 miliardi di euro per tutti i paesi membri che intraprendano progetti di difesa comuni. Nelle idee del Consiglio, questa opportunità dovrebbe incentivare l’acquisto di equipaggiamenti standardizzati, oltre all’abbassamento ‘generale’ dei costi.
Cosa pensano gli italiani? No al riarmo europeo e sostegno decrescente all’Ucraina

Secondo quanto riportato in un sondaggio di ‘Ipsos’ per il Corriere della Sera, l’opinione pubblica italiana nei confronti della guerra fra Russia e Ucraina dà segni di profonda ‘stanchezza‘ per la perduranza della crisi e i suoi risvolti economici. La maggioranza assoluta (57%) degli elettori italiani, infatti, non sostiene né l’uno né l’altro dei Paesi belligeranti. E nel lungo periodo, se da un lato le simpatie per Putin non sono mai cresciute più di tanto, dall’altro sono calate drasticamente quelle per l’Ucraina (Dal 57% al 32%).
Mentre riguardo a ReArm Europe nello specifico, la tendenza (seppur non clamorosa nelle proporzioni) è quella della contrarietà, con una percentuale (rispetto al campione) del 39% (28% i favorevoli).
ReArm Europe in pillole: ecco perché probabilmente non è la soluzione migliore
1. Non tutti gli stati dell’UE hanno le stesse possibilità economiche

Il titolo dell’articolo ha l’obiettivo di sottolineare un fatto in particolare: un’azione comune europea non solo è necessaria, ma anche auspicabile. “Ripudiare la guerra non significa essere inermi, rinunciare a lottare“, ha detto Antonio Scurati dal palco della manifestazione di Piazza del Popolo a favore del riarmo, ed è un assunto indiscutibile. Tuttavia, a fronte di un buon proposito, bisogna anche fare i conti con la realtà. E allo stato attuale, questo progetto presenta diverse criticità.
In primis l’aspetto prettamente economico: non tutti i paesi dell’UE sono uguali. E in particolare, non tutti paesi hanno gli stessi spazi fiscali e di bilancio. In parole povere, non tutti possono spendere e indebitarsi allo stesso modo. Come può allora questa misura rappresentare un vero incentivo al superamento della frammentazione politica e strategica dell’Unione?
2. Gli Stati Uniti sono il maggior esportatore d’armi in Europa. Ma caro Macron, l’indipendenza di cui parlavi?

“Restiamo fedeli alla NATO e al nostro partenariato con gli Stati Uniti d’America, ma dobbiamo fare di più, rafforzare la nostra indipendenza in materia di difesa e sicurezza. Il futuro dell’Europa non deve essere deciso a Washington o a Mosca“. Queste le parole del presidente francese Emmanuel Macron lo scorso 6 marzo, nel discorso fatto alla nazione.
L’auspicio è dunque quella di una maggiore indipendenza dalla Casa Bianca. Il problema? Ancora oggi gli Stati Uniti sono il maggior esportatore di armi in Europa. E verosimilmente, i paesi che attingeranno dai fondi del piano è difficile pensare che non acquisteranno dal venditore per eccellenza in questo settore.
Infatti, secondo quanto riportato dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), se da una parte le importazioni di armi dei paesi NATO hanno superato il 105% (fra il 2015-2019 e il 2020-2024), dall’altra gli Stati Uniti hanno fornito il 64% di queste stesse attrezzature.
3. Tempi burocratici lunghissimi: non il massimo per una necessità urgente (almeno all’apparenza)

Nella percezione comune, così come è strutturato ora ReArm Europe dovrebbe rappresentare un deterrente rapido, urgente ed efficace contro la minaccia rappresentata da Putin. Ma considerando l’ammontare ingente del denaro messo a disposizione, oltre alla complicatezza dei procedimenti burocratici dell’Unione Europea (non favorita certamente dall’estrema frammentazione), è utopistico immaginare che si tratti di processi così veloci. Il rischio, anzi, è che ci si possa protrarre a lungo nel tempo, forse anni.
ReArm Europe, Bersani: “L’Europa ha bisogno di un gesto politico forte; un progetto di difesa comune, altro che riarmo”

“Ci vuole da parte dell’Europa un gesto politico forte, con 6 o 7 paesi che dicono al mondo: ‘Ragazzi, adesso noi ci vincoliamo a un progetto di difesa comune‘. Secondo me, farebbe molto più effetto, altro che riarmo”. Così si è espresso Pierluigi Bersani, ex segretario del PD, nell’ultima puntata del famoso talk show di La7 “Dimartedì“.
Ora, al di là delle posizioni politiche di ciascuno, è giusto approcciarsi a questa tematica senza preconcetti ideologici, ma anzi con un’attitudine olistica e figlia di una grande consapevolezza: su certe tematiche non c’è destra o sinistra, ma solo il bisogno di costruire una strategia unica ed efficace.
E in tal senso, a fronte di una Piazza del Popolo dove, al di là di vari slogan utopistici su un’Europa ‘nazione’ che non è mai esistita (e che, probabilmente non esisterà mai), non si è concluso nulla di concreto, già un’idea di questo tipo rappresenta senz’altro una soluzione più concreta e realizzabile.
La frammentazione identitaria e le divergenze politico-culturali sono l’essenza stessa dell’Unione Europea. Ma come in passato si ha avuto la lungimiranza di creare uno spazio economico comune, oggi è arrivato finalmente il momento di farlo nel settore della difesa. E perché no, possibilmente individuando una via di mezzo fra l’eccessivo ‘interventismo’ di Macron e la posizione ‘controversa’ di Donald Trump’.