Ecco che Prodi tira giù la maschera del buonismo: il tilt del paladino pro UE fa il giro del web

Forse l’immagine collaudata di Romano Prodi come uomo mite, mansueto, dialogico e bonario non corrisponde del tutto alla realtà, soprattutto dopo l’ultimo episodio, che sta facendo molto discutere in questi giorni.

Di fronte a una giornalista di Mediaset, che lo ha messo di fronte a un estratto del tanto criticato Manifesto di Ventotene – in cui si parla dell’abolizione della proprietà privata – l’euroinomane Prodi ha sbottato con veemenza, infuriandosi oltre ogni misura. Queste le sue surreali parole: “Che cavolo mi chiede? Ma il senso della storia ce l’ha lei o no?”

Il volto di Romano Prodi era livoroso, le sue parole palesemente stizzite e contrariate. Successivamente, la giornalista di Mediaset ha affermato quanto segue, secondo quanto riportato, ad esempio, da Open, il rotocalco turbomondialista fondato da Enrico Mentana: “Mi ha tirato i capelli, uno shock”.

Insomma, Romano Prodi ha letteralmente perso la calma e si è infuriato oltre ogni misura. Anziché rispondere pacatamente e socraticamente alla domanda che gli era stata posta, ha rovesciato la scacchiera, sbottando contro la giornalista e arrivando addirittura, secondo quanto da lei dichiarato, a tirarle i capelli.

Per chi avesse scarsa memoria, ricordiamo en passant che Romano Prodi è stato Presidente del Consiglio, Presidente della Commissione Europea e, dal 1990 al 1993, anche consulente di Goldman Sachs. Una figura emblematica, dunque, non solo della politica italiana ed europea, ma anche del sistema finanziario egemonico transnazionale. Come abbiamo ampiamente dimostrato nel nostro libro Marx a Wall Street, esiste oggi una sorta di porta girevole, grazie alla quale i finanzieri diventano politici dell’Unione Europea e i politici dell’Unione Europea diventano finanzieri.

Un caso esemplare è quello di Barroso, che, terminato il suo mandato presso l’Unione Europea, è passato direttamente a Goldman Sachs. Ciò conferma, a nostro giudizio, la tesi secondo cui l’Unione Europea, lungi dall’essere il grande laboratorio democratico celebrato ideologicamente da Roberto Benigni – per inciso, alla modica cifra di un milione di euro, tanto è costato il suo show propagandistico – rappresenta in realtà il trionfo del capitale finanziario, a discapito dei popoli e dei lavoratori della vecchia Europa.

Tutto il contrario, dunque, di un grande laboratorio democratico, come ben sa il popolo greco, dopo essere stato schiacciato dalle politiche di austerità depressiva imposte dal sistema finanziario che incarna l’essenza stessa dell’Unione Europea.

Nei giorni scorsi, peraltro, Romano Prodi ha celebrato con enfasi il riarmo dell’Europa, proposto dalla vestale del neoliberismo cosmopolita Ursula von der Leyen. Non solo: Prodi si è persino lamentato del fatto che il piano sia troppo prudente – parole sue.

Sarebbe il caso di ricordare anche un’altra sua storica profezia: Prodi, uno dei principali artefici dell’ingresso dell’Italia nella moneta unica, sostenne a suo tempo che, grazie all’euro, avremmo lavorato un giorno in meno alla settimana guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più.

Una tesi, con tutta evidenza, inconsistente e presto smentita dalla dura replica della realtà. Così come è stata smentita l’idea, infinite volte ripetuta dagli araldi dell’europeisticamente corretto, secondo cui l’Unione Europea ci proteggerebbe dalle guerre. Abbiamo ormai sperimentato sulla nostra pelle che, al contrario, l’Unione Europea propizia i conflitti in ogni modo possibile.

A questo punto, non ci stupiremmo davvero se Romano Prodi ci spiegasse con zelo che, grazie all’euro e all’Unione Europea, combatteremo un giorno in meno come se avessimo combattuto un giorno in più.

Va infine sottolineato come gli euroinomani e gli austerici delle brume di Bruxelles appaiano oggi piuttosto tesi e pronti a sbottare contro chiunque osi mettere in discussione la loro narrazione intrinsecamente ideologica, che ormai fa acqua da tutte le parti.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro