Sta facendo molto discutere in questi giorni la proposta di legge avanzata dalla sinistra neoliberale atlantista e filobancaria e, segnatamente, da uno dei suoi paladini storici, Dario Franceschini. «Ai figli solo il cognome della madre», dice precisamente la proposta avanzata da Franceschini. In buona sostanza, secondo lo spirito della proposta in questione, bisognerebbe abbandonare secoli di tradizione europea, secondo cui ai figli si dà il cognome del padre, per principiare ad assegnare ai nascituri solo il cognome della madre.
La ratio della surreale e, a nostro giudizio, demenziale e fumettistica proposta, risiederebbe nella volontà di porre in essere, “un risarcimento per un’ingiustizia secolare“.
Peccato però che per produrre questo risarcimento all’ingiustizia secolare si andrebbe a compiere una nuova ingiustizia, cosa che forse sfugge a Dario Franceschini. Come non mi stanco di sottolineare da tempo immemore, un cubo rovesciato resta pur sempre un cubo e, in termini analoghi, un femminismo così inteso e così praticato non è altro se non un maschilismo di segno opposto.
Detto altrimenti, per correggere il maschilismo, si fa ora valere una logica analoga, dove però il prius spetta alla donna e non più all’uomo. Va da sé che il vero femminismo dovrebbe consistere nel produrre pari dignità tra uomo e donna, non certo nel rovesciare l’unilateralità del maschile nell’unilateralità del femminile. E non credo che serva un dottorato in logica presso l’Università di Oxford per comprendere questa banale ovvietà.
Come ho sostenuto nel mio libro “Il nuovo ordine erotico”, il contemporaneo femminismo neoliberale, da distinguere attentamente dal meritevole femminismo degli anni Sessanta, non mira in alcun modo a produrre la pari dignità tra uomini e donne. Punta invece unicamente a decostruire l’idea del maschio per imporre la nuova figura del fluido e resiliente, non più dunque la classe lavoratrice eroicamente e virilmente resistente sulle piazze, ma una massa amorfa di individui unisex e fluidi che subiscono tutto con spirito di resilienza.
Dietro alla lotta al patriarcato, che peraltro non esiste più in Europa da almeno 70 anni, si nasconde in realtà soltanto la lotta capitalistica contro la famiglia a beneficio della individualizzazione neoliberale di massa.
Non sfugga poi un ulteriore tratto a nostro giudizio decisivo: ancora una volta, per l’ennesima volta, la sinistrash volta le spalle a Marx, a Gramsci e alle classi lavoratrici per occuparsi di questioni irrilevanti che nemmeno sfiorano la contraddizione di classe su cui intrinsecamente si regge la società capitalistica. Che si parli di schwa, asterischi e cognomi al femminile: rivolte dell’asterisco e insurrezioni dell’arcobaleno.
Sono queste le irrilevanti battaglie di una sinistrash che sempre più figura come la guardia fucsia del turbocapitalismo egemonico e delle classi dominanti transnazionali sulla plancia di comando. Una sinistrash che, non mi stanco di sottolinearlo ad nauseam, sembra ormai aver superato perfino la destra, o destrash che dir si voglia, nella difesa oltranza dell’iniquo ordine dominante della globalizzazione turbocapitalistica sans frontiére.
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