I dazi doganali tornano ciclicamente al centro della scena del dibattito economico mondiale. Li abbiamo visti imposti, rimossi e poi di nuovo ripristinati. Utilizzati spesso come strumenti per “proteggere” l’economia nazionale.
Ma davvero i dazi ci difendono o finiscono per danneggiarci? Cerchiamo di capirlo e spiegarlo con un linguaggio semplice, indossando le lenti della politica economica e della macroeconomia.
Un dazio doganale è una tassa imposta sui beni importati da un altro Paese. L’obiettivo dichiarato? Rendere quei beni più costosi e quindi meno competitivi e convenienti per il consumatore rispetto ai prodotti nazionali. Teoricamente, questo dovrebbe spingere i consumatori a comprare “made in Italy”, stimolando la produzione interna e salvaguardando l’occupazione.
E’ intuitivo capire che si tratta di uno strumento tipico di politica commerciale protezionistica, una delle leve che uno Stato può usare per influenzare il proprio sistema economico. Ma come ogni medicina, ha anche i suoi effetti collaterali.
Nel breve periodo, i dazi favoriscono i produttori interni. Facciamo un esempio: si impone un dazio sui pannelli solari cinesi, di conseguenza i pannelli italiani diventano più competitivi. Questo può portare a un aumento della produzione degli stessi, degli investimenti e forse anche dei posti di lavoro dedicati a tale produzione.
Attenzione! Non è tutto oro ciò che luccica. I consumatori pagano il prezzo. Letteralmente. Perché se è vero che il prodotto importato diventa più caro rispetto a quello nazionale, è anche vero che quest’ultimo, non più soggetto alla concorrenza estera, può aumentare i prezzi. Il risultato? Un effetto inflattivo e una perdita di potere d’acquisto per le famiglie.
Dal punto di vista macroeconomico, i dazi alterano la domanda aggregata. Aumentando il prezzo dei beni importati, riducono il consumo e spesso anche gli investimenti, soprattutto in settori che dipendono da componenti estere.
Inoltre, se un Paese impone dazi, è probabile che gli altri rispondano con delle manovre analoghe, colpendo le nostre esportazioni. Questo fenomeno si chiama ritorsione commerciale, e può portare a una vera e propria “guerra dei dazi”, con danni sistemici al commercio globale.
Nei modelli IS-LM e nella curva di domanda e offerta aggregata, questi effetti possono tradursi in una riduzione del PIL potenziale e un aumento dei prezzi interni, con esiti negativi sia su crescita che su occupazione.
I dazi possono avere senso in situazioni molto specifiche: per proteggere settori strategici emergenti, per contrastare pratiche sleali di dumping (quando un Paese vende all’estero sottocosto) o per motivi ambientali e sanitari.
Usarli come arma sistematica può rivelarsi un boomerang economico. Perché in un’economia sempre più interconnessa, proteggersi dal mondo può significare isolarsi dalle opportunità.
I dazi sono uno strumento potente, ma da usare con cautela. La politica economica ci insegna che ogni intervento ha effetti diretti e indiretti, visibili e nascosti. E se è vero che nel lungo periodo potrebbero costarci molto, nel breve periodo possono rappresentare una protezione necessaria.
Alessio De Paolis
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