Guerra Russia-Ucraina: chi sono gli attori del nuovo RisiKo globale

Nella tragedia che comporta il suo dispiegarsi, ormai da 3 anni il conflitto fra Russia e Ucraina rappresenta quasi una sorta di canone. Un paradigma esemplificativo di un nuovo ordine mondiale e multi-polare, oltre che dei suoi attori principali.

L’impressione è che siamo, in quanto società, spaventosamente lontani da quella che Fukuyama, nel 1992, definiva “La Fine della Storia”. In occidente siamo prima nati, e poi cresciuti, nel segno del sistema sorto dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Il trattato economico di Bretton Woods; la bipartizione del mondo fra Stati Uniti e Unione Sovietica (tanto da far nascere, negli anni successivi, l’espressione “Terzo Mondo”, riferendosi ai miliardi di persone che abitavano in zone meno fortunate o, in ogni caso, non contemplate in quell’assetto); la creazione graduale dell’Unione Europea, con tutti i suoi legati politici e anche ideologici.

Già con la caduta del Muro di Berlino, la fine dell’URSS e l’attentato dell’11 settembre c’erano stati i primi segnali di un cambiamento. Ma ciò che stiamo vivendo negli ultimi anni (e che ha trovato nel conflitto fra Russia e Ucraina solo il suo apice, non l’origine) sta delineando in maniera sempre più netta la nascita di un nuovo ordine mondiale. No, non mi riferisco a nessun progetto di chissà quale complotto. Semplicemente, è chiaro come il potere nel XXI° secolo e la sua distribuzione, abbiano una natura del tutto inedita rispetto al passato.

In risposta al fenomeno della Globalizzazione (e l’annessa governance multi-livello di un potere economico e ‘ufficioso’ più potente che mai), gli Stati più potenti hanno modificato radicalmente la loro posizione. Non più due, ma diversi snodi centrali di potere: per un mondo diviso in più sfere d’influenza politico-economiche. Dalla Cina fino agli USA, passando per le rivendicazioni russe e il declino dell’Europa. Chi sono gli attori di questo nuovo RisiKo mondiale?

Russia: la guerra in Ucraina “a difesa del suo spazio vitale

Russia-Ucraina? Sono convinto che Putin che farà la sua parte nei negoziati“. Queste le ultime parole di Trump in merito allo stato di avanzamento delle trattative fra i due per la fine della guerra. Anche dal Cremlino, almeno ufficialmente, confermano la volontà del leader russo: “Il Presidente rimane assolutamente aperto a contatti con il corrispettivo americano. La loro conversazione sarà organizzata molto rapidamente se necessario”.

L’aria che tira è di quelle logoranti, soprattutto in termini di tempo. Si parla di mediazioni che saranno tutto meno che veloci, vista la posta in palio. E in quello che è un perfetto gioco delle parti, al pari di una qualunque trattativa, ognuno vuole tutale il più possibile i propri interessi. Il tutto, senza cedere di un millimetro (almeno nelle fasi iniziali…).

Ma quali sono, effettivamente, gli interessi della Russia? Qual è realmente la sua posizione? Per rispondere a questa domanda si potrebbero scrivere tomi interi di Geopolitica. Tuttavia, è utile, oltre che interessante, trarre degli spunti fondamentali di riflessione.

Non siamo stati noi a iniziare la cosiddetta guerra in Ucraina, al contrario, stiamo cercando di porvi fine. Noi difendiamo le nostre tradizioni, la nostra cultura e il nostro popolo“. Questo era il tenore delle dichiarazioni di Vladimir Putin nell’ottobre del 2023. Parole che stonano con i fatti di cronaca di un anno prima: quando nel febbraio del 2022 le truppe russe hanno invaso il territorio ucraino dando vita, per la prima volta dal 2014, a uno scontro diretto fra i due stati.

Ciò nonostante, se si vuole entrare più nel merito, e nel senso, delle affermazioni del Presidente Putin, è necessario mettere da parte ogni giudizio etico (anche legittimo) sul suo operato e concentrarsi su due aspetti fondamentali.

In primis la storia stessa della Russia post sovietica. Dopo la caduta del regime comunista, si è assistito alla nascita di un modello che, a seconda delle diverse sensibilità politologiche, esiste al confine fra varie categorie concettuali come quelle (ideate da S. E. Finer) di Democrazia di Facciata” o “Quasi-Democrazia“. Nel 1997, Fared Zaakaria definiva “Pseudodemocrazie” tutti quei regimi autoritari che presentano, solo in via formale, alcuni elementi del modello democratico. In tal senso, la Russia rappresenta un esempio perfetto.

Basti pensare che, esclusa la parentesi della presidenza del suo ‘figlioccio’ Dmitrij Medvedev (2008-2012; anni in cui è stato comunque primo ministro), Vladimir Putin è il Presidente della Federazione Russa ininterrottamente dal 2000, vincendo le elezioni in ogni occasione con percentuali ‘bulgare’ (nel 2018: 76%). Senza il bisogno di fare particolari illazioni su quest’ultimo punto, è chiaro come il potere in Russia sia di natura fortemente personalistica, e soprattutto vincolata alla figura di Putin. Il suo essere riconosciuto (anche con la forza) come depositario del destino della Russia, ha ovviamente un certo impatto sulle sue scelte di politica estera.

Ed è da qui che si arriva alla seconda delle considerazioni preannunciate: il concetto di “Eurasia”.

Bisogna tornare indietro agli albori della Geopolitica in quanto disciplina, fra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900. In Russia, intellettuali come Petr Savickij o Lev Gumilev spingono convintamente sull’unicità culturale, climatica e sociale della cosiddetta Eurasia; territorio che, a grandi linee, corrisponde a quella che poi sarà l’area totale dell’URRS. Quest’idea punta molto sulla relazione (per certi versi ideologica) fra ambiente e cultura. E che facilmente può essere legata a un altro concetto importante: quello di Lebensraum (ted. Spazio Vitale), ideato da Friedrich Ratzel nel 1897 e adottato poi da Hitler nel Regime Nazista.

Nel tempo il suo significato è stato stravolto in funzione dei singoli pensatori e/o ideologie. Facendo riferimento al fatto che, idealmente, i confini di un paese debbano seguire la “vitalità naturale del suo popolo” (e non gli atti giuridici), questa idea è stata poi rilegato a essere, riduttivamente, un mero Ius Naturae.

Questo Stato, e i suoi confini, esistono per diritto naturale del suo popolo, nella forma e nel sistema che la storia e la gente hanno legittimato nel tempo“, per spiegarlo in parole povere. Ora, le dichiarazioni di Putin, cominciando ad avere un altro significato…

Da garante della sua rinascita come potenza mondiale, per Putin i legami dell’Ucraina con l’occidente ‘vicina di casa’ sono una grande minaccia per lo spazio vitale del suo paese. E per quanto non sia giustificabile, è questo ciò che lo ha mosso a iniziare il conflitto.

USA: il mito del “New World” e l’anti-europeismo

Dall’elezione per la seconda volta di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti, ciò che colpito maggiormente gli europei sono state le sue scelte rispetto ai rapporti col Vecchio Continente.

Prima l’annuncio dei Dazi. Poi il rapporto ambiguo con Putin e la Russia; coloro che l’amministrazione Biden e l’UE tutta avevano definito i nemici giurati dell’Europa. Ma questo è davvero così sorprendente?

In un periodo storico come quello attuale, la scelta ideologica è stata limpida.Nelle difficoltà globali, bisogna premiare gli interessi degli americani. Ecco allora l’attenzione all’immigrazione; all’economia; o a snodi geopolitici come la Groenlandia. Donald Trump, in questo suo secondo mandato, ha deciso di cavalcare il sentimento più rude, e forse autentico, dell’Inner America.

Quella fetta di popolazione che è cresciuta nel segno del mito americano: quello risalente allo sbarco dei primi pellegrini puritani della Mayflower nel 1620 a Capo Cod. Quell’ideale, figlio anche delle dottrine protestanti e calviniste, che attribuisce, agli Stati Uniti, la nascita di un mondo nuovo: più giusto della decadente Europa.

Come ha ricordato lo Storico Dario Fabbri in diretta su La7, “Trump incarna il risentimento di buona parte degli americani nei confronti dell’Europa occidentale, vecchia, imbolsita e che vive sulle sue spalle“.

Anche qui, mettendo insieme i pezzi, la faccenda diventa più chiara. Che interesse ha, Trump, nel portare avanti una guerra distante kilometri di distanza dalla Main Land e che costa solo un mucchio di soldi? Nessuno.

Cina: il trionfo del colonialismo economico su quello militare

Lavoreremo insieme per dare nuovi contributi alla causa della pace e dello sviluppo per l’umanità. La cooperazione globale tra Cina e Russia nella nuova era ringiovanirà sicuramente con nuova vitalità e avanzerà verso una nuova fase“. Queste le parole del Ministro degli Esteri Cinesi Wang Yi a margine di un incontro col suo corrispettivo russo Sergey Lavrov, che ha replicato: “Gli incontri tra il presidente Putin e il presidente Xi Jinping danno sempre un impulso potente allo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali, che hanno raggiunto livelli senza precedenti grazie agli sforzi dei due leader“.

Molto sinteticamente, anche qui la domanda da porsi è simile a quella pensata per Trump e gli Stati Uniti. Un paese che, su impulso del suo Presidente, ha fatto del commercio e delle reti internazionali infrastrutturali il suo maggiore punto di forza, ha interesse che una guerra del genere (per giunta a uno schiocco ‘da casa’) prosegua? Ovviamente no.

La Repubblica Cinese, dal 2013, ha cominciato tutta una serie di operazioni volte alla nascita di una nuova “Via della Seta”: la cosiddetta “Belt and Road Initiative”. Dal Pakistan al Kazakistan, passando per i porti europei più importanti. La Cina, attraverso le sue aziende, ha strutturato una fitta rete di snodi commerciali e infrastrutturali che collega buona parte degli asset mondiali dell’emisfero boreale. Un esempio? Molte compagnie cinesi hanno il controllo (o almeno una quota) di porti fondamentali come quelli sul Mediterraneo, Amburgo, Rotterdam o persino nel Canale di Panama.

Non a caso quest’ultimo è un asset molto prioritario anche per Trump, come ha dichiarato più volte. E alla luce di tutto questo, appare ovvio il perché la potenza asiatica spinga per la fine del conflitto fra Russia e Ucraina.

Guerra Russia-Ucraina: il simbolo della decadenza del potere dell’Europa

E l’Europa? Beh, per quanto potesse essere frustrante avere un ruolo subalterno agli Stati Uniti, la convenienza economica e militare era più che indubbia. Ma ora, l’essersi sentita estromessa completamente dal tavolo dei grandi, dopo essere stata per secoli la culla della civiltà occidentale, è un elemento di grande sofferenza, oltre che di difficoltà materiale.

Il piano di Riarmo dell’UE; le dichiarazioni dei vari Macron, Von Der Leyen (etc.); sono la reazione a tutto questo. L’Unione Europea, nell’illusione ideologica di essere realmente più di un’organizzazione economica, sta cercando maldestramente di fare la voce grossa davanti a interlocutori molto più forti e influenti di lei. Paventando un’unità di intenti, fra i singoli stati, che non c’è e non ci sarà mai.

Questo il quadro di un nuovo mondo in cui smarrirsi è normale. E in cui tutti i paradigmi con cui siamo cresciuti, sono stati spazzati via, inesorabilmente.

E pur nella convinzione ideale che un’Europa più unita, e forte, possa essere realmente l’unica soluzione a un destino apparentemente maledetto, lo status quo attuale, le divergenze interne a essa e le ultime scelte intraprese fanno crollare questa speranza in un triste cumulo di macerie. Un ammasso di parole e formalità; un guscio vuoto; che nulla può in un assetto globale dal cui è stato per la prima volta estromesso dalla Storia.