Ieri Donald Trump ha fatto ciò che sa fare meglio: essere Trump. Un intervento a 360 gradi, in cui ha mescolato dichiarazioni vere, mezze verità, esagerazioni e provocazioni, toccando tutti i temi caldi della politica internazionale.
Ha lanciato accuse a Joe Biden, ha criticato Vladimir Putin, ha bacchettato Volodymyr Zelensky, e ha rivendicato – con forza – una cosa: “Io non ho colpe nella guerra in Ucraina. Anzi, sto cercando di risolverla.”
Un discorso articolato, contraddittorio, ma anche ricco di spunti. Eppure, ciò che i grandi quotidiani italiani hanno deciso di raccontare è solo una minima parte di tutto questo. Il Corriere della Sera, la Stampa e Repubblica hanno scelto di isolare esclusivamente le frasi più critiche verso Zelensky, tagliando di netto tutto il resto: le bordate a Biden, le critiche a Putin, le rivendicazioni sulla guerra.
Il problema non è difendere Trump o sostenere che abbia ragione in ogni sua affermazione – l’ho detto mille volte: avremo sorprese, sia belle che brutte, nei prossimi mesi. Nessuno sa davvero cosa stia accadendo nei retroscena della politica americana, soprattutto ora, mentre scrivo, alle 4:05 del mattino a Washington. Ma una cosa è certa: non si può costruire un racconto mutilato, tagliando via tutti gli elementi scomodi, selezionando solo ciò che rafforza una determinata tesi.
Presentare Trump come “il burattino di Putin”, come una figura pericolosa e manovrata dal crimine internazionale, significa forzare la narrazione. Non per ciò che ha detto, ma per ciò che non si è raccontato. È una scelta editoriale che falsifica la realtà.
Un buon giornalismo dovrebbe aiutare il lettore a farsi un’idea completa, presentando tutti gli stimoli, anche quelli che non piacciono alla redazione. Non si tratta di “difendere Trump” o altri leader internazionali, ma di rispettare l’intelligenza del lettore. Perché raccontare solo “un pezzo della favola”? Perché omettere un pezzo della storia? Qual è il servizio che si rende, così, all’informazione pubblica?
Siamo in un’epoca in cui l’informazione non dovrebbe essere un’arma ideologica, ma uno strumento di comprensione. Invece, sempre più spesso, assistiamo a una selezione arbitraria dei fatti, pilotata da un’agenda predefinita, dove ciò che conta non è la realtà, ma il modo in cui si può piegarla al racconto dominante.
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