Il recente caso che ha coinvolto la schermitrice statunitense Stephanie Turner al Cherry Blossom Open in Maryland ha acceso un dibattito infuocato sul rapporto tra sport e identità di genere.
Durante il torneo, Turner si è inginocchiata in segno di protesta, rifiutandosi di affrontare l’atleta transgender Redmond Sullivan. La sua motivazione è stata chiara e inequivocabile: «Io sono una donna, lui è un uomo e questo è un torneo femminile». Gesto che le è costato un cartellino nero e l’immediata squalifica dalla competizione.
La decisione di Turner non è stata impulsiva. Come lei stessa ha dichiarato, la protesta era premeditata, un atto simbolico contro le politiche della federazione statunitense di scherma (USA Fencing) che consentono la partecipazione di atleti transgender nei tornei femminili. Turner ha accusato l’organizzazione di ignorare le preoccupazioni delle atlete donne riguardo all’equità nelle competizioni sportive.
La reazione del pubblico e delle istituzioni non si è fatta attendere. Mentre alcuni hanno elogiato il coraggio della schermitrice, altri l’hanno etichettata come “transfobica”, inclusi diversi giornali italiani. Un’accusa ormai vuota e spesso campata in aria. Definire Turner transfobica riduce un gesto complesso a una semplice etichetta, ignorando il contesto e le questioni più ampie che solleva.
La schermitrice non ha infatti mai espresso odio o disprezzo verso Sullivan, ma ha manifestato una posizione critica su ciò che considera una violazione dell’equità sportiva. È legittimo chiedersi se sia giusto ignorare le preoccupazioni di tante atlete donne in nome dell’inclusione.
La federazione americana ha difeso la propria politica, sottolineando che lo sport deve essere accessibile a tutti e che il regolamento va rispettato. Tuttavia, il caso Turner evidenzia una frattura crescente nel mondo dello sport: da un lato l’esigenza di inclusione, dall’altro la tutela della competizione leale. Non si tratta solo di regole tecniche, ma di valori fondamentali che definiscono lo spirito sportivo.
Un episodio che non dovrebbe essere ridotto a uno scontro ideologico tra inclusione e discriminazione.
Ne abbiamo parlato in diretta con Giovanni Frajese e Alberto Contri.
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