Vasco Rossi, prima cantava “Vita spericolata” ora giustifica i limiti imposti alla libertà

Parto da una affermazione recentemente riproposta su Instagram dal cantante di successo Vasco Rossi: “la libertà ha un senso sempre se è all’interno di un limite, sennò non è libertà, è caos”. Vasco Rossi ha sviluppato questa riflessione in passato e ora la ripropone, supponiamo, in relazione all’emergenza epidemiologica, ribadendo, una volta di più, la propria posizione: posizione che, come sappiamo, si è da subito caratterizzata per una adesione ai moduli del nuovo ordine terapeutico e della sua incessante richiesta di barattare le libertà e i diritti in cambio della biosicurezza.

Ebbene, Vasco Rossi ora si improvvisa filosofo e ci spiega che la libertà ha senso se e solo se è “incanalata” all’interno di limiti. La frase, per quanto banale, ha una sua verità e colpisce che a riproporla sia il cantante di “voglio una vita spericolata”, colui il quale, in ambito musicale, può bene intendersi come un alfiere di quella deregulation antropologica all’insegna di godimento trasgressivo e superamento di ogni limite che ha colonizzato l’immaginario post-sessantottesco. Ha ragione Vasco Rossi: la libertà non coincide con il capriccio individuale o con la facoltà di fare indistintamente tutto ciò che si desidera. La libertà è, direbbe Hegel, “sostanza etica”, caratterizzata da limiti e da relazioni: la libertà necessita di limiti che, come gli argini di un fiume, le permettano di avanzare senza disperdersi e di svilupparsi appieno. E, tuttavia, occorre altresì chiarire – ed è il non-detto del ragionamento di Vasco – che i limiti che permettono alla libertà di svilupparsi vanno accuratamente distinti dalle catene che la soffocano e le impediscono di essere, quand’anche si pretenda che servano a proteggerla.

Insomma, la libertà non coincide né con la spericolatezza della deregolamentazione e dell’assenza di limiti, né con l’imposizione di limiti dispotici e distopici che finiscano per irrigidirla e, in ultimo, per azzerarla: libertà non è né la “vita spericolata”, che Vasco celebrava un tempo, né la vita in lockdown e ridotta a sopravvivenza, che Vasco se non celebra, certo oggi sembra giustificare. La libertà è una relazione tra soggetti egualmente liberi nello spazio di una comunità concreta; relazione che si sviluppa mediante limiti che potenzino la vita anziché annullarla tra le spire oppressive del dispotismo e anziché lasciare che essa si disperda nell’indistinto del capriccio individuale. Insomma, non può essere celebrata come libertà in senso proprio quella cantata da chi un tempo santificava la vita spericolata e ora, in modo opposto e ugualmente unilaterale, glorifica la vita in lockdown. La parabola della concezione della libertà di Vasco Rossi avrebbe di per sé poca importante, se non fosse che essa cristallizza splendidamente la metamorfosi dialettica del capitalismo: quest’ultimo è rapidamente passato dalla deregulation antropologica del “tutto è possibile” per il consumatore al nuovo ordine disciplinare e liberticida dei lockdown e dei coprifuoco. Insomma, dal capitalismo del carnevale permanente a quello della quaresima ininterrotta.

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