“Se Draghi sarà candidato al Quirinale, lo sosterremo”. Sono queste, secondo quanto ci viene riferito dal Corriere della Sera le surreali parole di Matteo Salvini. Con queste parole, credo che possa dirsi definitivamente caduta una volta per sempre la maschera della Lega. Lega che ha ormai dimostrato in forma inconfutabile il proprio posizionamento reale nel diagramma dei rapporti di forza.
Guardato retrospettivamente, il percorso del partito che fu di Bossi e poi divenne di Salvini appare quasi coerente nella sua incoerenza. Come noto, la Lega Nord fu in origine il partito che propugnava la secessione della fantomatica Padania dal resto dell’Italia. Poi, con metamorfosi repentina, la Lega Nord divenne in un batter d’occhio ciò contro cui aveva fino a quel momento combattuto: un partito “sovranista”, come si principiò a dire dopo il 2010.
Il fuoco prospettico del dire e del fare della Lega doveva ora orbitare intorno alla difesa a oltranza della sovranità nazionale contro le ingerenze a nord di Bruxelles e a sud dell’Africa. Il vecchio motto, “prima quelli del Nord”, fu senza troppa fantasia mutato nel nuovo “prima gli italiani”.
Questo tortuoso percorso, nella sua contraddittorietà, basterebbe già a chiarire l’entità del partito di cui stiamo parlando, nonché ovviamente la sua verace natura trasformista e cangiante a seconda dei venti. Vero è che solo gli sciocchi non cambiano mai idea: ma come qualificare quelli che ogni due minuti le cambiano e, come se ciò non bastasse, aderiscono di punto in bianco alle idee che fino al giorno prima combattevano?
Eppure, la metamorfosi della Lega, prima secessionista e poi sovranista, ancora non era compiuta. Si è definitivamente consumata nell’ultimo anno, allorché la Lega di Salvini si è scoperta addirittura partito delle ragioni dell’Unione Europea e del supporto all’euroinomane più impenitente, l’ex Goldman Sachs ed ex BCE Mario Draghi.
“Why not?”, disse con ridicola espressione Salvini in tempi non sospetti quando gli venne domandato cosa ne pensasse dell’idea di Mario Draghi premier…
E così si può dire compiuta, in forma rigorosamente tragicomica, la parabola di un partito, la Lega di Salvini, che non diversamente dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, è divenuto ciò contro cui combatteva: più precisamente, ha seguito una evoluzione (o involuzione) tale per cui, ogni volta, la tappa ulteriore negava e sconfessava quella precedente.
Credo che non sarebbe ingeneroso definire la Lega di Salvini, allo stato dell’arte, nel modo che segue: l’ennesimo partito liberista che, anche quando finge di essere contestativo rispetto all’ordine dominante, finisce sempre, immancabilmente e con la puntualità di un orologio elvetico, per riconfermarlo, per difenderlo, per annullare ogni reale istanza rivoluzionaria.
RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro