Vi sono eventi nei quali si manifesta limpidamente lo spirito del tempo, quasi come se in essi si cristallizzasse il senso tragico o euforico (a seconda dei casi) proprio del momento storico specifico.
Credo che così si possa leggere la vicenda macabra dei giorni scorsi accaduta a Novara, in Piemonte. Qui un sindacalista intento a protestare è stato travolto da un camionista, che secondo quanto riferito da più testate giornalistiche ha forzato il presidio e in seguito è fuggito. Non è arduo comprendere in che senso e per quali motivi questa vicenda dal tragico epilogo cristallizzi compiutamente il senso di un’intera epoca, l’epoca della mortificazione del lavoro, della solitudine dei lavoratori, dell’evaporazione dei diritti.
In un suo fortunato saggio, Norberto Bobbio coniò la felice formula di “età dei diritti” in relazione al nostro tempo. Ebbene, sono ogni giorno che passa più convinto che tale categoria abbia fatto il suo tempo e sia scolorita.
Si potrebbe forse ragionevolmente parlare, variando la formula di Bobbio, di “età del tramonto dei diritti“. Ciò soprattutto se si ragiona di quei diritti sociali, che dopo la data sineddoche del 1989, stanno effettivamente scomparendo come altrettanti anelli di fumo nell’aria. Non si tratta ovviamente di una neutra evaporazione, come se fosse un fenomeno naturale alla stregua di un’eclissi o di un terremoto. Si tratta invece, a voler essere rigorosi, di una intenzionale e preordinata aggressione da parte dei gruppi dominanti – vale a dire del blocco oligarchico neoliberale – a nocumento delle classi lavoratrici e dei ceti medi, ovvero di quel composito aggregato che già da tempo vado definendo con la categoria di precariato e di servo nazionale popolare.
Fino al 1989 il conflitto di classe era biunivoco, e i diritti non erano altro se non la risposta obbligata che il potere doveva dare alle rivendicazioni di piazza del blocco dominato.
Dopo il 1989, in modo sempre più lampante, dal conflitto di classe siamo esizialmente transitati al massacro univoco di classe: il blocco dominante aggredisce rapacemente, il ceto dominato subisce in forma passiva e afasica, senza peraltro essere più rappresentato dalla sinistra.
Quest’ultima, nel mentre, si è mutata kafkianamente in “new left” postmoderna, arcobalenica e liberista. Una sinistra dunque del tutto sovrapponibile per quel che riguarda la questione sociale e il tema del lavoro, alla destra liberale.
Non deve stupire allora che sulla pagina del rotocalco turbomondialista “La Repubblica” comparisse, proprio negli stessi giorni della tragedia di Novara, l’immagine cerimoniale di un noto protagonista delle sinistre fucsia ZTL immortalato con al polso un simpatico orologio dalle tinte arcobaleniche. Il messaggio, chiaro e forte, è quello secondo cui “è l’ora dei diritti”. Peccato tuttavia che i diritti a cui il cromaticamente corretto dell’arcobaleno si riferisce, siano sempre e solo quelli che più propriamente andrebbero appellati capricci di consumo individualistico per ceti abbienti.
Non dunque i diritti delle classi lavoratrici, ogni giorno più umiliate e sfruttate, bensì i capricci di consumo per ceti abbienti che tanta libertà debbono avere, quanta possono acquistarne.
E’ tutto qui il senso del transito della nobile sinistra rossa della falce e del martello che lottava per il lavoro, alla “rainbow left” anticomunista e postmoderna, che con zelo lotta contro il lavoro e per il capitale usando a mo’ di compensazione cosmetica i diritti dell’arcobaleno: quelli, in sostanza, che non vanno nemmeno a menzionare la contraddizione socio-economica dominante.
La domanda è quindi una sola: chi si occuperà ora realmente della massa dannata degli sfruttati?
Chi difenderà davvero le istanze degli ultimi?
Quale forza e quale intelligenza sociale sapranno ancora far valere il sogno di una umanità di individui solidali liberi e uguali?
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro