Letta vuota il sacco: il suo intervento a La 7 dimostra una volta per tutte da che parte sta

La catechesi globalista del politicamente corretto non dorme mai. La si è vista chiaramente operativa anche l’altra sera, nella trasmissione detta “Otto E Mezzo”, su La 7, condotta dalla giornalista Lilli Gruber. Tra gli ospiti, figurava anche Enrico Letta, indefesso alfiere del progressismo neoliberista arcobalenico a beneficio dei gruppi dominanti no border.

Enrico Letta nel salotto televisivo di La 7 si è improvvisamente rivolto ai calciatori della nazionale azzurra, sostenendo che essi dovrebbero inginocchiarsi in nome della sacra lotta del black lives matter. Infatti, nella partita giocata qualche sera prima, solo 5 calciatori su 11 della nazionale avevano ceduto al nuovo rito politicamente corretto dell’inginocchiamento a comando.

Su tale rito, ho già detto quello che ritengo essere l’essenziale: il padronato cosmopolitico vuole una batteria di servi inginocchiati e in mascherina, attivamente e anche visibilmente in posizione atta a subire in maniera afasica e remissiva il dominio e la violenza quotidiani da parte dei gruppi dominanti.

Devono dunque leggersi secondo questa chiave ermeneutica le sconcertanti parole di Enrico Letta: il quale non ha mancato di rimarcare che la scena dei soli cinque calciatori inginocchiati della nazionale non è stata una “gran bella scena”. Di qui la forma imperativa con cui si è mediaticamente rivolto ai giocatori della nazionale: “che si inginocchino tutti”.

Le parole di Letta sono interessanti oltre che sconcertanti, dacché confermano ciò che intorno al rito dell’inginocchiamento a comando già più volte dicemmo: intanto, non si tratta, come pure si vuole far credere, di una libera scelta rimessa alla coscienza del singolo; diventa invece un atto obbligato, sia pure di un obbligo morale come spesso accade con tutto ciò che pertiene il politicamente corretto.

Insomma, si è liberi di inginocchiarsi, nulla lo impone, ma… se non lo si fa si è immediatamente oggetto delle geremiadi e delle reprimende da parte dei pretoriani dell’ordine dominante. Non si finisce sul rogo, sia chiaro (almeno per ora): si è tuttavia oggetto di una più o meno aperta e pervicace opera di demonizzazione, che non di rado può anche tradursi in marginalizzazione del soggetto che ha osato non piegarsi ai comandamenti della nuova religione del politicamente corretto.

Insomma, diciamolo senza perifrasi edulcoranti: il gesto dell’inginocchiamento sempre più tende a diventare un atto dovuto, un gesto a comando che si è costretti a fare per non incorrere nelle sanzioni morali della catechesi politicamente corretta. Non sfugga poi che l’inginocchiamento è, tra tutti, il gesto più religioso, quello che appunto meglio si attaglia alla nuova religione atea e nichilistica della globalizzazione egemonica.

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro