L’esperimento sociale sta funzionando alla perfezione, sarebbe stolto negarlo. E che di esperimento sociale si tratti lo abbiamo provato a dire in più occasioni, sottolineando come ci troviamo al cospetto di nuovi laboratori di produzione del postumano e degli assetti sociali, politici ed economici per l’avvenire. In ciò sta la valenza dell’epidemia come politica, per riprendere il titolo del libro che Giorgio Agamben ha dedicato al tema.
Ebbene, ieri era il primo giorno in cui si poteva tranquillamente stare senza mascherina all’aperto e io ho visto con i miei occhi tutti egualmente mascherati all’aperto, come pecore impaurite, come manichini automatizzati e programmati per agire inequivocabilmente in un modo preordinato: lockdown cognitivo allo stato puro, davvero. Perché mai, di grazia, indossare la mascherina all’aperto se, come sappiamo, all’aperto è pressoché impossibile contagiarsi e, per di più, è il potere stesso, con i suoi sempre più palesemente demenziali dispacci, a suggerirci che da ieri possiamo tranquillamente evitare di indossare la mascherina all’aperto? Si tratta di una paura ormai radicata negli animi? O è un riflesso pavloviano di cui difficilmente ci libereremo? Né deve essere dimenticato che in realtà non è cambiato nulla, se si considera che anche fino all’altro ieri per decreto bisognava portare con sé la mascherina e all’occorrenza indossarla in caso di mancato distanziamento: non era previsto alcun obbligo di mascherina all’aperto, in altri termini.
Comunque, anche ora che apertamente ci dicono che tale obbligo non sussiste, esplicitando di fatto ciò che già prima era valido, i più continuano a indossare la mascherina… In ogni caso, sono scene disarmanti, inutile negarlo; scene che forse potrebbero anche produrre disincanto, se non disperazione, inducendo anche il più fervente rivoluzionario e il più attivo militante per ulteriorità nobilitanti e migliori libertà ad abbandonare ogni speranza redentiva e ogni sogno desto di liberazione. Di fronte a quelle miserrime scene, in fondo, pare addirittura esageratamente ottimistica la definizione kantiana dell’uomo come un legno storto.
RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro