Gli occhi del Pentagono Usa sull’Afghanistan: quegli interessi mai svaniti per le risorse minerarie

Siamo nel punto apicale della cosiddetta transizione ecologica, imposta al mondo intero, dove l’economia di facciata deve essere green. Servono quindi nuove tecnologie, nuove fonti di energia e quindi nuove risorse da sfruttare. Vi faccio un esempio: il litio, minerale che serve più di tutti per le batterie delle auto elettriche, per le batterie dei telefonini.

Possiamo dire che tutto quello che riguarda l’industria green dipende da questi minerali, spesso molto rari, sicuramente più rari del petrolio. Ripeto il primo tra questi è il litio. Pensate che solo alcuni anni fa si è consumato un tentativo di golpe in Bolivia che il presidente boliviano Evo Morales, come ho ben spiegato nella mia ultima inchiesta il Diego Rivoluzionario, ha definito il golpe del litio.

Come fare allora? Qui arriviamo all’Afghanistan, ai giorni nostri. Alcuni anni fa alcuni geologi, assoldati dal Pentagono americano in cerca di terre ricche di litio individuarono proprio nell’Afghanistan la terra con il potenziale più alto di estrazione di quel minerale, definendola una delle potenziali potenze minerarie al mondo. Pensate che quelli afghani li avrebbero lasciati in mano a un gruppo di talebani, nel mezzo della transizione ecologica? O forse trovate più plausibile che qualcuno abbia detto ai talebani: noi vi lasciamo il Paese, voi ci lasciate le riserve minerarie.

L’Afghanistan è ora l’oggetto del contendere tra Usa e Cina. Chi metterà le mani su quelle risorse vincerà una delle battaglie decisive nella nuova guerra fredda tra Usa e Cina. Ma per farlo bisogna prima di tutto sacrificare il popolo.

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