Quando è arrivato, per un esborso “monstre” sia per la cifra di acquisto che per l’ingaggio annuale, c’è stato un coro quasi unanime: era il capolavoro gestionale di Andrea Agnelli per completare con la tesserina più prestigiosa il mosaico tecnico che avrebbe portato alla conquista della Champions. Si fa fatica a ricordare voci di dissenso o analisi oggettive circa il fatto che un calciatore da solo, nella fase quasi crepuscolare della carriera, raramente cambia i destini di una squadra e, ancora meno, basta a innalzare il livello del movimento calcistico (già declinante, come era il calcio italiano da qualche anno) del quale va a far parte. Coro angelico a celebrare l’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus; chi dissentiva era un eretico.
Oggi che se ne va, o se n’è già andato, lascia i seguenti numeri: 134 presenze e 101 reti, due scudetti, due Supercoppe italiane, una Coppa Italia, un titolo di capocannoniere. Poi, anche qualche rimpianto, ma se ci sono colpevoli per quest’ultimo aspetto vanno cercati altrove, visto che non risulta che lui o Jorge Mendes abbiano estorto ingaggi e percentuali revolver alla mano.
Nel coro di chi oggi accoglie la notizia del suo addio con un sospiro prolungato di sollievo, le stesse voci, tutte o quasi, che al momento del suo arrivo facevano parte del coro angelico di cui sopra. Dimenticando, quando stilano il bilancio dei suoi anni in bianconero, un piccolo particolare: è stata la Juventus a non essere alla sua altezza, non il contrario.
Paolo Marcacci