“Saranno, a marzo, giorni da far tremare le vene e i polsi, per questo calcio italiano comandato da gente come Dal Pino, che ancora non si spiega perché gli arabi preferiscano investire sul Newcastle di turno invece che nella nostra Serie A”
La fatica è nella testa, innanzitutto; di conseguenza, le gambe di Bonucci e compagni sembrano appesantite in partenza dalle tossine del dubbio, del secondo rischio epocale di seguito, del retaggio di tutte le ombre che quella parola, “spareggio”, proietta sul terreno di Belfast. E prende corpo una sensazione straniante: sembra che siano più vicini gli stati d’animo dello spareggio contro la Svezia ai tempi di Ventura che la gioia per il titolo europeo di qualche mese fa. Scherzi dell’incertezza e della manovra monocorde degli azzurri nel primo tempo, con Barella e Tonali schiacciati e guardinghi, senza quasi un’incursione e con un finale di tempo in cui qualche vagito offensivo, soprattutto per un paio di iniziative di Chiesa, non si traduce mai in acuto, per la ormai conclamata mancanza di finalizzazioni efficaci e di un finalizzatore di mestiere.
La ripresa, con Cristante in luogo di uno spento Tonali, comincia con la soglia di difficoltà che si inerpica: Donnarumma deve mettere i guanti sulla conclusione secca e tesa di Seville; qualche minuto dopo arriva da Lucerna la notizia del gol di Okafor contro la Bulgaria.
Al giro di boa dell’ora di gioco, vale a dire ai due terzi di gara, prende corpo la sensazione che giocando così potrebbe durare pure una settimana e difficilmente l’Italia passerebbe in vantaggio. È più o meno il momento in cui Mancini si affida a Belotti, perlomeno un “nove” autentico, per quanto ancora in debito di forma. Fuori Barella e trazione anteriore con Insigne che indietreggia tra le linee per qualche minuto, prima di cedere il posto a Bernardeschi; esce di scena anche Jorginho per Locatelli.
Nel frattempo gli svizzeri hanno raddoppiato e poi arrotondato, il che per l’Italia rende obbligatorie le due reti, a poco più di un quarto d’ora dalla fine. Improbabile, vista la scarsa produzione offensiva quanto a conclusioni reali. Anzi, gli azzurri danno la netta sensazione di giocare ingobbiti da un fardello di sfiducia. Neanche i chili e i centimetri di Scamacca cambiano l’inerzia di una sempre meno meno arrembante nazionale italiana che sin dal fischio d’inizio aveva dato la sensazione di essere scesa al Windsor Park con la frustrazione preventiva data dalla mancata vittoria con gli elvetici all’Olimpico. Questi ultimi stasera vanno al Mondiale; a noi toccherà uno dei tre gironi di play off all’inizio della primavera.
Saranno, a marzo, giorni da far tremare le vene e i polsi, per questo calcio italiano comandato da gente come Dal Pino, che ancora non si spiega perché gli arabi preferiscano investire sul Newcastle di turno invece che nella nostra Serie A.
Paolo Marcacci