Gli interessi tecnocratici dietro la guerra al Natale: colpiscono ciò che può risvegliare la comunità

Nell’augurarvi sentitamente un buon Natale mi permetto di svolgere alcune, pur impressionistiche e cursorie, considerazioni intorno al giorno che stiamo vivendo. Considerazioni rivolte a ogni persona che ancora abbia a cuore un pensiero critico.

Proviamo a riflettere sul significato dell’importanza di un giorno come questo dedicato essenzialmente al sacro. Che ne è del sacro nel tempo dell’evaporazione dei valori, nel tempo del nichilismo, nel tempo della morte di Dio come lo appellava Federico Nietzsche? Cosa resta di ciò che è ancora sacro nell’odierna società tecnomorfa e pantoclasta? La società che pretende di mettere in congedo ogni valore affinché regni ovunque, sotto il cielo, l’unico valore ammesso di scambio.

Siamo in un mondo cioè in cui tutto ha prezzo e nulla ha valore, in cui tutto è nella misura in cui è calcolabile. In tutto deve prevalere la forma merce. Possiamo ragionevolmente prendere le mosse da almeno tre concezioni fondamentali e anche interconnesse tra loro del sacro. Innanzitutto il sacro, secondo l’etimo originario, è il separato. Consiste in ciò che non appartiene a questo mondo ed è a questo mondo irriducibile. In sostanza la sacertà riguarda uno spazio ‘altro’ rispetto a quello della mondanità. Qualcosa dunque che non può essere appropriato dal mondo e chiede di essere rispettato nella sua intrinseca alterità.

A partire da questa concezione basica possiamo ragionare sul senso del sacro a partire da una splendida considerazione svolta dal poeta Ezra Pound, che nei suoi Cantos scriveva che il Tempio è sacro perché non è in vendita. Sotto questo riguardo potremmo dire che il sacro segna l’indisponibile per eccellenza. Il sacro è uno spazio non sottoposto alla logica della volontà di potenza, non assoggettato al regno della quantità e dei mercato. Per questo, secondo l’episodio assai noto dei testi sacri, Gesù caccia i mercanti dal Tempio perché luogo del non mercificabile. Il luogo, per antonomasia, dell’indisponibile.

Per questo possiamo ancora dire che il mondo tecnomorfo dei capitali non accetta la presenza del sacro e deve produrre a ogni latitudine la desacralizzazione del mondo ridotto a semplice unità di senso utilizzabile. Tutto deve essere appiattito nell’immanenza in quanto utilizzabile. L’utilizzabilità universale è la cifra del mondo della tecnica e dei mercati. Vi è un’altra funzione fondamentale del sacro sviluppata, in questo caso, dal poeta Goethe. Egli diceva che il sacro è ciò che vivifica una comunità. Mediante i simboli e le ritualità del sacro una comunità ogni volta si mette in movimento, si attiva, prende coscienza di sé nelle proprie ritualità e nei propri momenti comunitari. Anche sotto questo riguardo non è arduo comprendere su che basi e per quali ragioni la civiltà del nichilismo individualista e relativista contemporaneo debba mettere necessariamente in congedo ogni residuale potenza del sacro.

Il nostro è il tempo della individualizzazione di massa, sicché la decostruzione di ogni spirito di comunità procede di conserva con la decostruzione di ogni spirito del sacro. Ecco perché possiamo ragionevolmente, al di là di ogni ottica confessionale, ben dire che il Natale in quanto celebrazione del sacro è qualcosa di intrinsecamente antiadattivo rispetto alla religione immanente nichilista della forma merce. Forse anche per questa ragione la civiltà dei mercati ha dichiarato già da tempo guerra al Natale. Pensiamo solo alla dichiarazione di intenti dell’Unione Europea e dei suoi algidi tecnocrati senz’anima secondo cui non bisognava dire più ‘buon Natale‘. Una frase innocente e sbagliata secondo alcuni, ma in questa frase e ben condensato lo spirito nichilista tecnoclasta e desecralizzante del nostro ordine mercatista contemporaneo.

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