La questione del visto in Australia negato al tennista Djokovic può essere interpretata seguendo due strade.
Quella da pillola azzurra, propinata dalla maggior parte dei media mainstream del mondo che non vedevano l’ora di poter mettere alla gogna uno dei no vax più famosi del mondo. Secondo questa versione dovremmo credere che il tennista più famoso del mondo abbia fatto decine di ore di volo per partecipare a uno dei tornei più importanti del mondo e lo abbia fatto senza avere tutta la documentazione in regola. E senza avere avuto prima una preventiva autorizzazione degli enti australiani sulla documentazione che avrebbe fornito. Quindi vogliono farci credere che Djokovic ci abbia provato.
La verità da pillola rossa, invece, è che Djokovic quelle garanzie le aveva avute e in queste ora stanno anche emergendo. A Djokovic quindi in Australia è stata tesa una trappola. Una vendetta che qualcuno gli ha voluto servire a caldo e non vedeva l’ora di ritrovarselo sul proprio territorio. Ma perché a lui? E perché in Australia? La questione è tutta politica. Vi leggo un titolo apparso anche sul Corriere della Sera un anno fa, quindi in tempi non sospetti. “Djokovic batte il Premier: bloccate in Serbia le miniere di litio del Rio Tinto”. Djokovic in pratica ha agito come un vero e proprio leader politico serbo, contribuendo a bloccare l’accordo del suo Governo con la multinazionale Rio Tinto. Accordo che prevedeva l’estrazione di jadarite e litio dalle miniere locali. Per capirci, stiamo parlando di un investimento di quasi due miliardi e mezzo quasi da parte di Rio Tinto e di 600 milioni di introiti annui per i prossimmi 50 anni. Accordo che è stato congelato a causa delle proteste.
Inutile dirvi che la Rio Tinto è una spietata multinazionale anglo-australiana. Sì, avete capito bene: anglo-australiana. Qualcuno evidentemente ha ingoiato il rospo, lo aspettavano in Australia.
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