Disse qualcuno che ciò che desta maggiore preoccupazione non è la perfidia dei malvagi, ma l’indifferenza di quanti, anziché intervenire e prender parte, si astengono facendo finta di nulla rimanendo disinteressati in una sorta di limbo dell’indifferenza. Indifferenza che è, se possibile, anche peggiore rispetto all’aperta malvagità di chi opera secondo il male.
La nostra sembra essere, sotto ogni riguardo, l’epoca dell’indifferenza. Un’epoca in forza della quale, venuti meno i grandi ideali (“finito il tempo delle grandi narrazioni”, diceva Lyotard) non si crede più in nulla: nulla di più grande in cui sperare, nulla di grande per cui dare in casi estremi anche la vita.
In ciò consiste il tetro contorno dell’epoca dell’indifferenza generale, un’epoca in cui i più hanno scelto di non parteggiare. I più sono esattamente coloro i quali erano avversati da Gramsci, allorché sosteneva di odiare gli indifferenti, assai simili a quelli che l’Apocalisse chiama e condanna come “i tiepidi”.
Così leggiamo nell’Apocalisse (3, 15-16): “Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. O, fossi tu pur freddo o fervente; così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca“. Le parole del Signore nell’apocalisse si indirizzano esattamente contro gli indifferenti, contro i tiepidi. Coloro i quali, senza scegliere, di fatto scelgono di parteggiare per le cose così come sono. In sostanza si mantengono tiepidi, né freddi, né caldi: non prendendo posizione, stanno già prendendo posizione per il mondo così com’è.
Possiamo dire che la categoria dei tiepidi, pur essendo la più popolata, è anche quella più spregevole, abitata da persone che non compiono apertamente il male, ma che lasciano che esso venga compiuto senza curarsi delle sorti del mondo.
Gli indifferenti sono perfettamente rispecchiati da quell’enigmatica figura evocata da David Hume, allorché diceva (compendiando il senso dell’indifferenza dell’epoca contemporanea) testualmente: “Alla fine un graffio sul mio dito è per me più importante della catastrofe del mondo intero“.
Gli indifferenti, o tiepidi, sono il profilo oggi dominante, di più, sono la variante contemporanea di quelli che Dante Alighieri condannava nell’Inferno come “gli ignavi“: coloro i quali voltano continuamente insegna dacché stanno sempre dalla parte del mondo così com’è, coloro i quali “mai non fuor vivi” e non scelsero mai come posizionarsi.
Si badi, oltretutto, che il carattere proprio del tiepido è quello che apertamente viene celebrato e santificato dall’ordine del discorso contemporaneo mediante una figura inedita che potremmo ragionevolmente intendere come l’attualizzazione tanto del tiepido dell’Apocalisse, quanto dell’Ignavo dell’Inferno: tale figura è quella del resiliente. Egli viene celebrato oggi urbi et orbi come figura perfettamente aderente al nuovo spirito del capitalismo, il quale ci vorrebbe tutti resilienti, vale a dire indifferenti, apatici, ignavi, tiepidi.
Il resiliente, celebrato anche da Mario Draghi col suo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è il tiepido per eccellenza, colui il quale subisce in silenzio senza mai parteggiare, andando avanti come nulla fosse e cercando financo di trovare spunti di crescita individuale negli urti che continuamente provengono dal mondo esterno ogni giorno più iniquo.
Ebbene, per evitare di essere “vomitati” (come dice l’Apocalisse) in quanto indifferenti e tiepidi, dobbiamo parteggiare, essere caldi, non adattivi, perfino rivoluzionari. Non tiepidi.
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro