Quasi 13 milioni di italiani non pagano l’Irpef. Evasori? No tutta gente che guadagna meno di 15 mila euro l’anno e perciò è esentata dal pagare le tasse sul reddito. Si tratta del 45% dei contribuenti (teorici), mentre il 50% guadagna tra i 15 e i 50 mila euro. Solo uno striminzito 5,3% ha entrate superiori ai 50 mila euro e paga oltre il 40% di tutte le tasse. Un dato scoraggiante quello reso pubblico dall’Istat. E ancor di più se si considera che gli introiti medi degli italiani sono calati dello 0,6% rispetto al 2017.
Il tutto per un reddito medio di 20.670 euro. Un reddito medio che però, a esaminarlo nel dettaglio, costituisce un abbaglio. Se infatti sale a 24 mila e 720 euro per la regione più ricca, la Lombardia, esso scende addirittura a un misero 14.120 euro per la più povera, la Calabria.
Insomma continua a esistere il baratro tra le regioni ricche e quelle povere, soprattutto se si considera che le tre più ricche sono la Lombardia, L’Emilia-Romagna e il Lazio e le più povere sono tutte del sud. E le prospettive per il futuro (cioè per adesso) non sono buone, visto che non solo Confindustria ma anche Standard & Poor’s prevedono al massimo una crescita del nostro Pil dello 0,1%. Roba da anni bui, da recessione, da crisi.
Ma la cosa che continua a colpirmi di più è quella del mancato sviluppo del meridione. Dalla fine della Guerra a oggi, prima mediante la Cassa del Mezzogiorno, poi grazie a vari provvedimenti, leggi speciali, piani di sviluppo, il Sud ha ricevuto migliaia e migliaia di miliardi (in lire e in euro). Con pochissimi risultati.
I critici accusano la classe politica meridionale di ogni partito e consorteria, e i più rozzi parlano della poca voglia di lavorare dei meridionali. E questa è una evidente bugia: i milioni di emigrati dal Sud che, dal 1954 in poi, hanno raggiunto il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia hanno contribuito, lavorando duro e spesso in condizioni difficili, al miracolo economico italiano. Si può dire che nelle grandi fabbriche del Nord (un tempo c’erano) la manodopera meridionale abbia costituito la spina dorsale dello sviluppo, altro che scansafatiche.
E allora? Ci si potrebbe chiedere. Allora evidentemente esiste un cancro nelle società meridionali che induce a sprecare tutte le (moltissime) occasioni che ha avuto. Un cancro fatto di tante cose, tra cui in primis classi dirigenti incapaci, poi la malavita organizzata, certo, poi una certa tendenza a sopravvivere. Ma non può essere solo questione di queste cose.
Io non sono né un sociologo, né un antropologo, né un economista. Però ho lavorato nel Sud a fianco di gente capace e produttiva. E posso solo constatare lo sfacelo economico, sociale, sanitario, culturale di una delle terre più belle del mondo.
E soffrirne.
Marco Guidi