Il divario tra l’andamento del debito pubblico e quello della spesa per interessi è destinato ad aumentare. Qualsivoglia sia la politica di tagli di spesa o di aumento di entrate effettuate, come è dimostrato dall’andamento degli ultimi vent’anni segnati dalla politica del rigore. Dimostrazione del fatto che il nostro Paese al contrario di quanto comunemente affermato sia stato rigoroso sta nella lettura di un indicatore, il surplus primario.
Tale indicatore rappresenta il differenziale tra la spesa pubblica e il prelievo fiscale, entrate di cassa per lo Stato. Se è positivo, con entrate maggiore delle uscite, si determina un surplus, viceversa un deficit. Nell’arco di vent’anni di osservazione, dal 2000 al 2020, risulta che per ben 19 volte il saldo sia stato un surplus primario.
Non è vero che il nostro sia un Paese sprecone come veniamo definiti da una campagna stampa autolesionista, miope e anche al servizio dei poteri veramente forti, quelli finanziari che hanno occupato banche ed università. Dire che il nostro sia un paese sprecone non corrisponde a verità.
Un Paese è un Paese sprecone se spende più di quanto incassa. Il nostro invece è un paese che incassa più di quanto spende. Perché allora il debito pubblico aumenta? Il debito aumenta per una ragione di matematica finanziaria, cioè legata alla dinamica degli interessi, per il peso del debito che noi prendemmo pesante in epoche storicamente più arretrate.
Il problema lo portiamo sulle spalle da decenni e da decenni continua a macinare interessi, per noi più che per gli altri. Per noi ha creato più danni che per altri. Noi siamo nelle condizioni per ridurre questa solo facendo crescere l’economia. Tagliare la spesa pubblica e alzare le entrate porta una spirale del debito. Bisogna invece alzare la spesa pubblica e ridurre le entrate.
Si preferisce continuare a fare l’errore che ci sta portando nel baratro da decenni.