Da una parte, ci sono la flat tax e la sterilizzazione dell’Iva. Dall’altra, il pil, il deficit e il debito. Al centro del ring un documento da scrivere e varare entro il 10 aprile. A poche ore dal varo del Def da parte del Consiglio dei ministri, non ci sono certezze né sulle misure che conterrà né sui numeri. Gli incontri informali si susseguono in questi giorni ma il vertice ‘ufficiale’ atteso per ieri è stato cancellato. La crescita è il primo punto da definire, perché è su quella che gira tutto.
E purtroppo sembra che, anche riuscendo a inserire gli effetti positivi dei due decreti legge appena varati (il dl crescita e il dl sblocca cantieri), sarà difficile per il governo arrivare anche solo a mezzo punto percentuale. Per Bruxelles la crescita potrebbe addirittura non arrivare allo 0,2%. Con un denominatore così modesto i numeratori (deficit e debito) diventano ancora di più, se possibile, dei sorvegliati speciali.
Tra le diverse ipotesi che circolano, c’è anche quella che vorrebbe Tria impegnato in una riduzione simbolica del deficit strutturale, per dare un segnale d’impegno a Bruxelles. Sul debito pesa invece l’operazione di dismissione straordinaria che, secondo gli obiettivi dell’esecutivo, quest’anno dovrebbe far incassare 18 miliardi di euro. Si tratta di un punto percentuale di pil e, se l’obiettivo non venisse rispettato, sarebbe necessario rivedere le stime già nel 2019.
In questo scenario si collocano le misure che dovrebbero rappresentare il fulcro della manovra 2020. La realizzazione della flat tax, secondo alcune stime, potrebbe costare tra 12 e 15 miliardi di euro. Ovviamente nella formula che prevede l’aliquota al 15% per i redditi fino a 50.000 euro e un sistema che rispetti il principio costituzionale di progressività per chi supera il tetto. Non si tratterebbe, quindi, della vera flat tax, cioè di un’unica aliquota per tutti i redditi, ma di un primo passo verso la riforma fiscale.
Questa impostazione consentirebbe di inserire il capitolo nel Piano nazionale delle riforme, che accompagna il Documento, permettendo sia al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sia al vicepremier, Matteo Salvini, di portare a casa il risultato. Il leader del Carroccio, infatti, non perde occasione per assicurare che la riduzione dell’Irpef sarà nel documento di economia e finanza. Dal titolare di via XX settembre è arrivata una risposta tecnica, che fissa la giusta collocazione dell’intervento all’interno della manovra 2020.
Anche l’altro vicepremier, Luigi Di Maio, vuole mettere la propria firma sulla riduzione delle tasse, e lo fa assicurando che sarà ”il garante della flat tax” e farà in modo che aiuti il ceto medio, non i ricchi. Indipendentemente dalla sua collocazione dovranno essere individuate delle risorse, che coprano la nuova spesa.
Almeno una parte potrebbe arrivare da un ‘cambio di destinazione d’uso’: detrazioni e deduzioni potrebbero essere convertite in taglio dell’Irpef. Mentre un’altra quota potrebbe arrivare dal bonus Renzi, gli 80 euro che spettano ai redditi fino a 26.000 euro. Cancellando lo sconto introdotto nel 2014, ad esempio, si avrebbero 10 miliardi di euro a disposizione.
La sterilizzazione dell’Iva è forse lo scoglio più grande da affrontare, visto che da solo costa ben 23 miliardi nel 2020. La clausola di salvaguardia prevede che, dal primo gennaio del prossimo anno, l’aliquota ordinaria dell’imposta sul valore aggiunto passi dal 22% al 25,2%, mentre quella ridotta dal 10% salirà al 13%.