La “patria della libertà” si tradisce con l’estradizione di Assange: dritta al banco degli imputati

L’estradizione di Assange non ci stupisce più di tanto in verità, era ampiamente prevedibile e lo era per più motivi. Anzi, strano sarebbe stato se essa non fosse avvenuta. Se volessimo svolgere una considerazione general-generica di ampio respiro, potremmo ragionevolmente sostenere che adesso (se non altro) nessuno potrà più celarsi dietro la fable convenue degli Stati Uniti d’America come la ‘più grande democrazia del mondo’ e come la ‘patria della libertà universale’, come usa dire adesso ‘Il Re Nudo’. A tutti dovrebbe apparire cosa sia realmente la Civiltà del dollaro, che sempre pretende di ergersi a giudice universale della storia quando in realtà (in moltissimi casi) dovrebbe (inutile negarlo) sedere al banco degli imputati.

Si dice spesso, quasi in modo automatico e irriflesso, che la Cina e la Russia sono spietate dittature e sono spietate dittature dacché perseguitano i giornalisti non allineati, quelli che svolgono un lavoro assolutamente importante perché di fatto smascherano il potere, condannano le ingiustizie. Ebbene, non si dovrebbe allora dire lo stesso anche della Civiltà del dollaro alla luce della vicenda di Assange? Vale a dire: alla luce del trattamento che la civiltà del dollaro ha riservato – non diversamente da come fa la Cina o la Russia tanto vituperate – a un giornalista libero che continuamente ha superato le meccaniche del potere? Che ha mostrato tutte le ingiustizie degli Stati Uniti d’America, ha mostrato come il modus operandi della Civiltà del dollaro (che sempre si celebra come foriera di libertà e di diritti) sia in realtà un modus operandi che gronda sangue e sporcizia da ogni parte? E che, di fatto, agisce sotto il nome dell’imperialismo più cruento.

Sappiamo bene (e ormai ne abbiamo conferma) che il pensiero unico, politicamente corretto ed eticamente corrotto, si fonda oltretutto su quello che propongo di appellare il ‘relativismo opportunista’. Un relativismo infatti che, di volta in volta, fa valere il punto di vista del dominante cosicché lo stesso gesto, compiuto da quelli che si è deciso a priori essere cattivi è malvagio ma lo stesso gesto, se compiuto invece da quelli che si è decretato a priori essere buoni, è un gesto allora meritevole, degno di elogio. Ed è esattamente secondo questa chiave ermeneutica che deve essere interpretata la vicenda di Assange: giornalista libero che ha svelato la meccanica segreta di un potere che ora lo perseguita senza pietà.

Ebbene quando è la Russia a perseguitare i giornalisti allora è un gesto inaccettabile, quando sono gli Stati Uniti il giornalista Assange è un ‘gesto doveroso’ come non ha mancato di sottolineare qualcuno. Un gesto doveroso perché ha svelato segreti di Stato, perché ha agito contro gli interessi del suo paese. Ecco allora l’essenza del relativismo opportunista, dove sono tutti i nostri guerrieri arcobalenici dei diritti e delle battaglie di civiltà? Che sono sempre pronti con santissimo furore a tuonare contro la Cina, contro la Russia e contro tutti i nemici della civiltà dell’hamburger, liquidati in blocco come dittature spietate, sanguinarie e comuniste. Perché ciò che non perdonano alla Cina e alla Russia, celebrano invece negli Stati Uniti d’America? Ecco ancora una volta affiorare quello che abbiamo scelto di appellare il ‘relativismo opportunista’, che è uno dei tratti del pensiero unico e che anche uno dei tratti degli intellettuali sempre più al guinzaglio del potere dominante, divenuti ormai i mandarini, i cani da guardia dell’ordine dominante e della globalizzazione americano-centrica.

Radio Attività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro