Ecco la rivoluzione contro la solitudine telematica: la riconquista dei diritti parte gloriosamente da qui

Quel che sto per raccontarvi è accaduto nei giorni scorsi in provincia di Lecce. In Salento infatti, in provincia di Roca, è accaduto che è stato impedito ai bambini di giocare a pallone in piazza, com’erano soliti fare. La notizia, così viene raccontata dal TGCOM 24: “A Roca, Lecce, è vietato giocare a palla in piazza. Bimbi protestano e passano la serata con lo smartphone”. ‘Criticate la nostra generazione ma ci avete tolto il pallone’, hanno scritto i ragazzini in uno striscione. Alla fine è accaduto che è stato concesso loro un nuovo spazio nel quale giocare insieme liberamente al pallone e quindi (per così dire) giustizia è stata fatta.

Di questa vicenda con un lieto finale, mi preme sottolineare un duplice aspetto che merita davvero una nostra considerazione. In primo luogo, la tendenza tipica della nostra civiltà a distruggere ogni spazio pubblico e di socialità, favorendo invece il rimbambimento di massa mediante i dispositivi elettronici, l’isolamento programmatico delle persone che sfocia molto spesso nella solitudine telematica propria di un mondo tecnomorfo nel quale si è astrattamente connessi con tutto e tutti e si è poi concretamente isolati nella propria cella digitale. In effetti, la civiltà merciforme della tecnica si caratterizza anche per questo paradosso: per un verso ci permette di essere sempre connessi e per un altro verso, nell’atto stesso in cui garantisce la connessione digitale permanente, produce una sconnessione completa dalla realtà e dalla socialità.

Ecco perché la caverna di Platone oggi, se proviamo a immaginarla all’altezza dei tempi, è per molti versi una caverna individualizzata dove ciascuno è rapito, più che dal megaschermo proiettivo sul fondo della caverna di cui immaginava Platone, dal display del proprio dispositivo e questa è l’essenza di un’epoca in cui nessuno guarda più le stelle perché tutti guardano gli schermi dei dispositivi.

Il secondo aspetto su cui desidero richiamare la vostra attenzione sta nel fatto che i bambini si sono gloriosamente opposti alla decisione che li ha privati del loro spazio pubblico e della possibilità di giocare insieme a pallone. Non hanno cioè sopportato in silenzio con ebete euforia o disincantata e depressiva rassegnazione. Tutto al contrario, si sono opposti con uno striscione e hanno fatto valere le loro ragioni e alla fine sono riusciti a imporre il proprio diritto nel giocare assieme a pallone.

Il fabula docet che traiamo da questa vicenda leccese sta nel fatto che solo dalla nostra capacità di opporre resistenza dipenderà la possibilità di ottenere di nuovo diritti e di riconquistare ciò che ci è stato tolto. Laddove, se non accetteremo di protestare con forza, di opporci con vigoria, perderemo tutto un poco alla volta, come è già sta avvenendo. Non tutto in una volta, che altrimenti apparirebbe evidente la sottrazione dei diritti coerente con la civiltà neoliberale, ma un pezzo alla volta, quello sì, con lente e solerte continuità, di modo che, come la rana bollita di cui parla Chomsky, alla fine ci troviamo privi di tutto, senza aver preso coscienza del processo in atto.

Ebbene la vicenda dei bambini salentini è interessante, dacché ci segnala e educa al valore della protesta, dell’indocilità ragionata, al non accettare come normale ciò che accade semplicemente perché accade o magari perché accade sempre. Quando il potere cerca di portarci via diritti e conquiste, abbiamo il sacrosanto diritto e anche il dovere di protestare e opporci, proprio come hanno fatto gloriosamente i bambini in provincia di Lecce. Con ciò, essi hanno impartito a noi tutti una preziosa lezione: resistere serve, come? Variando il titolo di un’opera di qualche anno fa, di un fortunato romanzo di Walter Siti che diceva ‘resistere non serve a niente’, abbiamo appreso da questi bambini gioiosi di Lecce che resistere serve eccome ed è fondamentale. Solo dalla nostra capacità di resistere dipenderà in ultima istanza la possibilità di vittoria su un modello di sviluppo regressivo (che pur si chiama progresso) e un pezzo alla volta ci porta via ogni diritto, ogni libertà e ogni socialità.

Radio Attività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro