Le vignette di Charlie Hebdo possono risultare di cattivo gusto, si dice che fomentino odio e vengono spesso giudicate come generaliste. Per questo hanno successo, dove per “avere successo” in quest’epoca non si intende “avere consenso”, ma “avere visibilità“, in qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo.
I disegni satirici della testata francese hanno sfruttato per anni i grossi fatti di cronaca internazionale per aggiudicarsi in partenza un buon numero di views, ma la notizia vera è che sono riusciti con questi mezzi nell’intento superando, per importanza mediatica, lo stesso fatto su cui realizzano l’irriverente vignetta.
Forse il fatto che si attendeva già con passione l’uscita della vignetta della testata che tutti piangevamo nel 2015 mentre le fiamme non finivano ancora di divorare la volta della cattedrale di Notre-Dame è stato più un motivo di vanto che una spinta a migliorare per gli ormai celebri vignettisti.
Già perché il fatto che ‘Charlie Hebdo’ sia tra i nomi più cliccati sui social nelle ultime ore è indicativo delle notizie che interessano davvero al pubblico d’oggi.
Non è importante la sostanza, il contenuto, il popolo parigino che si riunisce sotto il rogo pregando all’unisono, la volta della chiesa che svanisce dopo settecento anni gloriosi. Nulla è più rilevante in confronto ad una vignetta che, dopo aver speculato sul terremoto di Amatrice, sulla caduta del ponte di Genova, sulla tragedia di Rigopiano, oggi fa altrettanta audience, altrettante visualizzazioni accostando l’immagine delle due torri all’operato di un politico. E c’è persino chi dice di non provare amarezza alla vista della torre consumata dalle fiamme, perché “loro non hanno pianto quando è capitato a noi“.
Chi sarebbero “loro”? Chi saremmo “noi”?
Si possono davvero creare delle fazioni su una tragedia che dovrebbe unire tutti nel dolore? E non si tratta di un banale discorso politico europeista, perché ciò che forse si fatica a capire è che Notre-Dame de Paris rappresenta un simbolo della nostra cultura, una radice del nostro essere.
La società d’oggi paga per l’ennesima volta l’irresistibile tentazione di creare delle etichette in qualsiasi occasione, dal francese che ci ha deriso dopo il terremoto, al politico a cui tanto non importa nulla, al cattolico, che tanto in fondo non ci crede davvero.
Le stesse etichette che ogni volta Charlie Hebdo spolvera per lucrare sui sentimenti della gente, come nel caso italiano, correlando vittime e mafia in un paragone pressappochista, unendo arte e politica alla fiera del detto fuori luogo che poco ha a che vedere con la professione dell’informatore. Ma tutti ci cascano, tutti ne parlano, tutti si indignano, mentre un pezzo di storia si spegne al sorgere del sole.