Vi ho parlato qualche volta delle 4 ‘R’ che spiegano, storicamente, il fallimento italiano. La prima, ho detto, è la ‘politica del rigore‘; la seconda è ‘riforme‘; la terza è ‘risparmio‘; la quarta è recente, ossia la ‘filosofia del reddito di cittadinanza’. Perché dopo essere passati da circa 2 milioni di poveri nel 2005 a quasi 6 milioni di poveri nel 2020, continuiamo a pensare nel lungo termine a politiche che i latini chiamavano ‘di panem et circenses’, cioè ‘dagli il pane e fagli vedere il circo così la smettono di protestare’, in un modello di voto di scambio che elargisce elemosina e non lavoro stabile. I dati che ho dato derivano da fonti ISTAT, OCSE, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale (mi riferisco ai dati che ho dato in questi giorni).
Comodo, molto comodo continuare con la narrazione del Paese che avrebbe vissuto al di sopra delle proprie possibilità. Ora, io so già che mi attirerò moltissime critiche con questa mia posizione, ma io ho il privilegio di non essere pagato per dire queste cose e di non chiedere neanche voti in cambio perché ho scelto di non fare più vita politica da un quarto di secolo. Quindi, essendo un pensatore libero, vi di dico la mia libera opinione, che naturalmente può essere non condivisa. La mia libera opinione, in merito a questo tema, è: guardate che creare un Paese nel quale quasi la metà di esso arriverà a percepire un reddito di cittadinanza è una condizione di schiavitù latente che a me preoccupa molto perché quello che bisogna dare, a mio parere, è il lavoro di cittadinanza, non il reddito di cittadinanza perché se tu a una persona non dai la dignità del lavoro, quella persona non sarà mai libera. Questa è la mia opinione per brutta, cattiva, antipatica che possa essere. Ma dato che non prendo veti politici e non sono pagato per dire queste cose, dico liberamente il mio pensiero, dato che qui faccio l’opinionista.
E allora, quello che voglio dire è che le politiche vere dovrebbero essere politiche per le imprese perché assumano le persone. Noi dovremmo fare la detassazione degli utili reinvestiti, dovremmo fare in modo che quando i giovani creano un’impresa per tre anni paghino tasse zero. La gente mi dice ‘eh ma così tu non metti soldi nelle casse dello Stato’: ah sì? Perché se quelle persone sono sul divano a prendere il reddito di cittadinanza mi dite che tasse pagano? Se invece do a queste persone un lavoro e non gli faccio pagare le tasse per tre anni, magari il quarto anno le aziende cominciano a pagare perché quei ragazzi sono riusciti a creare la cultura d’impresa. E poi ancora, la detassazione sugli investimenti, la detassazione sulle assunzioni del personale: queste sono le cose che vorrei sentir dire dal nuovo Governo. Troppo comodo dire ‘stai a casa che ti do la paghetta’: trattiamo le persone come responsabili. L’obbligo di uno Stato è quello di dare il lavoro alle persone, non il pane e i circhi. Scusate, io la penso così.
MalvezziQuotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi