Così leggo su Ansa.it in data 17 ottobre 2022. “Covid, la quinta dose di vaccino a 120 giorni dall’ultimo booster (Ministero della Salute) e somministrabile in concomitanza con altri“. Ebbene sì, la notizia merita davvero un pur rapido commento. Tra una cosa e l’altra, quasi senza avvedercene, siamo disinvoltamente pervenuti alla quinta dose. Del resto, l’abbiamo detto in più occasioni, la salvezza è sempre una dose più in là. Curiosa religione, quella terapeutica che stiamo vivendo, o meglio subendo da ormai due anni e mezzo. Si tratta di una religione che continuamente differisce il momento della salvezza, rinviandolo sempre di nuovo al consumo della merce successiva. In ciò, davvero si dà una saldatura inconfessabile tra la religione e il consumismo, che sembrano riannodarsi fra loro sotto il segno di questa nuova religione terapeutica che stiamo scontando sulla nostra pelle, letteralmente. Infatti, per un verso vi è l’idea della salvezza, ridotta all’elemento minimo della salute del corpo, una salvezza materialistica, una soteriologia totalmente biologica, legata alla sopravvivenza del proprio corpo individuale.
Ciò che segna il grado zero dell’Occidente, potremmo dire l’apice del nichilismo, per cui non si crede più in nulla. Nessun progetto di salvezza collettiva, nessun aldilà, nessun ideale di redenzione sociale. L’unica salvezza ammessa, ormai, è quella della sopravvivenza del proprio corpo biologico, cioè la salute individuale. Ciò che rivela come l’uomo occidentale non creda più in nulla, se non nella nuda vita e nell’esigenza di salvaguardarla a ogni costo. In secondo luogo, la religione del consumismo, che promette la salvezza nel consumo della merce. Tuttavia la merce consumata fa sparire con sé la promessa di salvezza, facendola ogni volta riapparire all’orizzonte con la nuova merce che il sistema della produzione, con la sua fantasmagoria, fa apparire secondo una circolarità funesta che potenzialmente procede ad infinitum. E così abbiamo la figura più volte evocata, secondo cui la salvezza è sempre una merce più in là o, nel caso specifico della religione terapeutica, la salvezza è sempre una dose più in là.
L’ho detto e l’ho ridetto, l’abbiamo scritto nel nostro libro Golpe globale, la religione terapeutica prevede che il vaccino figuri come parusia della salvezza e al tempo stesso come sacramento fondamentale di questa nuova religione. Ricorderete bene quando scese dal Brennero in pompa magna e venne adorato il vaccino, il sacro vaccino atteso e celebrato a reti unificate, mentre gli italiani erano tappati in casa per decreto legge. Ebbene, questa religione terapeutica ci rivela una volta di più come la scienza, o meglio quella che oggi impropriamente chiamiamo scienza, sia per molti versi scivolata lungo la china di una superstizione scientifica che la rende degna di essere chiamata altrimenti e non scienza. Una sorta di religione scientifica in cui lo stesso tema del credere nella scienza rivela questa perdita di scientificità della scienza stessa, che diventa fede, religione, dogmatica.
E poi non dimentichiamo anche il fatto che, possiamo ben ripeterlo in quest’ottica, il vaccino come fondamento della nuova religione, il santissimo siero sempre laudando e benedetto, di fatto non ci porta fuori dall’emergenza, ma è esso stesso, con la sua iterazione, parte integrante di quella emergenza che non finisce mai. Detto altrimenti, le dosi santissime del siero benedetto non fanno finire l’emergenza, dacché l’emergenza infinita è la nuova normalità neoliberale ed essa nuova normalità si fonda anche, oltretutto, su dosi infinite di siero benedetto e sempre laudando.
Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro