L’Italia tornerà all’austerità. La causa? I dati gonfiati di cui parlava Draghi

Non siamo da soli nelle stime negative del Fondo monetario internazionale rispetto alla variazione del Pil prevista per il 2023. Anzi, la Germania fa peggio di noi. Meno 0,2%, noi -0,3% i tedeschi.
Peccato però che il cosiddetto testamento del precedente governo, che incidentalmente ricordo si chiama ‘Draghi’, ipotizzava nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza del settembre 2021 una crescita del Pil del 2023 del 2,8% e nel 2022 del 4,7%. Purtroppo erano dati gonfiati. Ad oggi il 2023 si attende in negativo e il 2022 si attesterà al +3,2% secondo le stime.

Da cosa dipende questa variazione al ribasso del Pil italiano?

Non è una novità. Frena nuovamente la spesa pubblica per tentare di rispettare il famigerato ormai parametro deficit-Pil di cui vi parlo da anni. In poche parole l’Italia tornerà all’austerità perché gli anni 2020-2022 sono stati, devo dire ironicamente, “sufficienti” per fare riprendere il Paese dalla pandemia con incrementi di spesa pubblica. E quindi, secondo questi folli, è necessario tornare al vecchio regime dell’austerità. L’economia italiana procede quindi verso la recessione e tutte le stime che avevamo clamorosamente sottostimato sono dovute alla scelleratezza di alcune decisioni di politica economica. Mentre il Pil russo, per fare un esempio, viene stimato in aumento rispetto alle stime precedenti, nonostante le sanzioni.

Ora io devo dire che in questa situazione quello che vi voglio segnalare è la follia non solo del governo italiano, ma della politica italiana, che non accetta di capire o di accettare politicamente che bisogna cambiare rotta. Cioè se noi veramente ritorniamo all’austerità, ossia al taglio della spesa pubblica dopo avere gonfiato i conti pubblici con il governo Draghi, dove tutto andava bene (vi ricordate un anno fa no? “Siamo in forte ripresa, il paese più forte del mondo” eccetera eccetera); poi ci siamo svegliati con i dati e adesso però continuiamo a parlare di rispetto del deficit, di tagliare la spesa pubblica. Signori, se noi non cambiamo strada e non prendiamo la strada dell’economia umanistica, purtroppo il nostro Paese è destinato non all’inflazione ma alla stagflazione, che è la cosa peggiore possibile, cioè un aumento dei prezzi, ma in una situazione in cui cala la produzione, l’occupazione. Si ferma l’economia. Io ve lo dico chiaro: bisogna passare all’economia umanistica, mettere al centro l’uomo e non più la difesa dei tassi di interesse dei capitali e delle Borse. Buona economia umanistica.

Malvezzi Quotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi