Caduto il muro di Berlino il Partito Comunista si ritrovò immediatamente senza un grande finanziatore internazionale, ancorché formalmente nemico (l’URSS), con una politica che probabilmente credettero superata o comunque da ammodernare e con avversari storici che ormai avevano preso il sopravvento.
Occorreva quindi, intercettare nuove forme di finanziamento ed al contempo, pensare ad un laboratorio che potesse sostituire un’ideologia considerata vetusta, ormai quasi scomoda.
Gli avversari storici, in primis il PSI e la DC, sembravano poter contare su di un consenso stabile, attraverso strutture di contatto capillare sul territorio, secondo la predominante logica clientelare di allora, nonché di fonti di approvvigionamento finanziario consolidate, attraverso una “organizzata” opera di “osmosi grassatoria” tra politica ed imprese mediante la gestione dei servizi, delle forniture e delle opere pubbliche (il consociativismo imperante del tempo non rese comunque, immune neanche il PCI, allora all’opposizione, da tali distorsioni).
Parte della nuova classe dirigente del PCI quindi, cambiò pelle e strategia, avviando una fase di liquidazione del proprio passato.
Il partito dei lavoratori, degli operai, dei diseredati, dello stato sociale … forse non serviva più, o forse non era più consono alla nuova strategia.
Occorreva cambiare!
Ed occorreva farlo in fretta!
Di lì, a breve, “la Svolta”!
A nulla valse rimembrare Engels, quando si recò qualche secolo prima nei sobborghi di Manchester e vide le case degli operai, degli artigiani, le prime produzioni industriali, inserite in un contesto di assoluta carenza igienica, in cui il putridume nel quale avvenivano lavorazioni finanche tossiche rappresentava un fatto quotidiano.
Quelle case erano piccole, povere, disadorne, quasi dei ripari di fortuna, addensate tra loro senza un piano urbanistico, attorniate dal fango e dal fetore dei bisogni fatti in strada. Negli alloggi si dormiva e si mangiava accanto alle macchine con cui si produceva.
Per quella gente non c’era speranza.
I loro figli appena deambulanti venivano avviati alla catena di sfruttamento produttivo domestico. Le case dopotutto erano “celle di produzione“.
La riduzione della libertà che non poteva certamente essere operata, almeno formalmente, nei confronti di chi non avesse commesso reati, ma di fatto in quei luoghi avveniva attraverso uno sfruttamento ignobile del lavoro che si traduceva in sostanziale schiavitù.
Ad Engels quelle immagini della prorompente industrializzazione capitalistica rimasero impresse a tal punto, che, assieme a Marx, in una visione ben più ampia, avviò un progetto nuovo di società, tracciando una impostazione ideologica e delle linee guida che poi, nel tempo vennero declinate nei modi più diversificati, talvolta estremi, addirittura in taluni casi travolgendo totalmente i dettami iniziali.
Il PCI ritenne probabilmente quel percorso totalmente esaurito e quindi, pensò ad un percorso nuovo, per alcuni versi antitetico al passato, tanto da dover cambiare le proprie insegne e non potersi neanche più chiamare PCI.
Il cambio di nome, dettato dalla nuova classe dirigente, avvenne per strategia senza pudore dinanzi al taglio repentino delle proprie radici.
La chiamarono la svolta della Bolognina!
Ma residuavano due criticità non di poco conto: 1) come finanziarsi; 2) come prevalere sugli avversari politici.
Ma per la “nuova ditta” non fu un problema.
Abbandonata la strada del compromesso storico, messo a tacere qualche nostalgico recalcitrante, sbarazzatisi di coloro che in buona fede promossero un cambiamento doloroso, la “nuova ditta” si avviava verso una moderna politica di spregiudicato progressismo.
Per la “nuova ditta” fu un gioco da ragazzi entrare nel mercato, barattare le proprie idee, convertirsi al capitalismo lobbista e stringere alleanze che la vecchia guardia del PCI avrebbe aborrito ab origine, direi al solo pensiero.
A guidare il partito non c’era più Berlinguer, ma una classe dirigente creativa, politicamente spregiudicata, pronta ad una modernità sfrontata e capace quindi, di sodalizi proditori.
Prima di tutto occorreva chiaramente rinvenire un alleato forte per prepararsi alla grande battaglia per il potere.
Gli avversari politici al Governo, tracotanti e miopi, non si avvidero di nulla, avevano già archiviato il vecchio PCI e ritenevano improvvidamente che ormai lo scontro si celebrasse soltanto per la spartizione del potere tra gli alleati e che la dialettica politica restasse patrimonio esclusivo delle correnti interne ai partiti di governo.
Ma la “nuova ditta” mise in piedi una insospettabile trama, dagli effetti deflagranti.
L’alleato con cui scendere a patti fu individuato, senza particolari indugi, nell’Alta Finanza.
Non i capitani di industria. Ma quella parte della finanza speculativa, eterea, quasi immateriale pronta ad acquisire e spolpare tutta l’argenteria di stato (partecipate pubbliche titolari di marchi e brevetti di altissimo valore).
Una operazione di mercato piuttosto semplice.
L’Alta Finanza, di allora, vedeva nel primato della politica sull’economia un ostacolo da abbattere per potersi impadronire dei tesori dell’imprenditoria di Stato, quella buona chiaramente, quella riguardante gli assi strategici del Paese, quella della grande manifatturiera, quella del polo tecnologico ed agroalimentare, delle comunicazioni, ecc.
Un colpo così ghiotto che per la nuova Alta Finanza che non aveva mai costruito nulla, ma guadagnato molto acquistando e rivendendo senza scrupoli (come se le aziende italiane fossero mere scatole senz’anima, storia e personale), sarebbe valso qualsivoglia investimento.
Ora l’occasione era arrivata.
Nessuno della vituperata Prima Repubblica avrebbe mai trattato la svendita del Paese.
Craxi avrà avuto mille difetti ed altrettante responsabilità, ma non si arrese neanche dinanzi al dispotismo americano (Sigonella), quello che dopotutto più di ogni altro avrebbe potuto agevolargli la carriera.
Non avrebbe mai accettato (la Prima Repubblica) di abbandonare le partecipazioni statali, perché lì c’erano i posti di lavoro per i raccomandati, i finanziamenti ai partiti, ma anche i brevetti prestigiosi e gli investimenti ingenti fatti nel tempo che rendevano quelle imprese straordinariamente concorrenziali a livello internazionale (L’IRI era forse il più grande colosso industriale d’Europa)
Poi certo c’erano anche i carrozzoni.
Ma quelli non li voleva nessuno, tant’è che ancor oggi sono rimasti a carico dell’erario pubblico.
Ma la “nuova ditta” era pronta a tutto!
Divenne improvvisamente atlantista (filo americana), incline alle privatizzazioni, vicina alle grandi famiglie del capitalismo italiano, iniziò a frequentare i salotti di una certa finanza ed a pensare ad una Europa non più a tutela del piccolo risparmiatore, ma a vantaggio dei grandi gruppi bancari.
L’accordo pertanto, venne raggiunto con pienezza di intenti.
La nuova lega (Nuova Ditta ed Alta Finanza “immateriale”) era pertanto, pronta a dar corso al proprio piano operativo.
E mentre al governo di allora si banchettava e si festeggiava ignari dell’imminente tempesta, la “Nuova Ditta” e l’Alta Finanza entrarono in azione senza trovare alcun ostacolo.
Il vecchio PCI aveva sempre prestato attenzione al sistema della giustizia (Togliatti pretese per se il Ministero di Grazia e Giustizia nel 1946) come forma di controllo ed argine ad una eventuale attività repressiva del governo nei confronti dei movimenti popolari ed in chiave ideologica come rivendicazione e tensione verso la generazione di un sistema reale di giustizia sociale.
Del pari il vecchio PCI aveva investito molto sulla cultura e sull’istruzione, quale nobile forma di emancipazione sociale soprattutto da parte della classe meno abbiente (Gramsci).
Ma per la “Nuova Ditta” era giunta l’ora di mettere a frutto tali investimenti.
Tanto la giustizia quanto la cultura potevano diventare strumenti micidiali di distruzione politica.
La “Nuova Ditta” pensò bene di speculare sull’attività della magistratura che nel corso della sua rituale e legittima attività di contrasto alla corruzione, ma sopratutto al finanziamento illecito ai partiti, trovò ogni forma di enfasi e smodato sostegno (piazze, università, giornali, …)
Alcuni magistrati divennero ben presto deputati, senatori, sindaci, ministri … eroi e salvatori della patria.
Ed in alcuni tratti della nostra storia recente si ebbe addirittura la sensazione che decisioni importanti della vita politica del Paese fossero appese al giudizio delle procure.
Al contempo, veniva azionata anche la seconda arma letale.
La cultura!
Ma non come mezzo di emancipazione di classe, bensì da casta di regime in grado di suonare a menadito lo spartito dettato dal nuovo sodalizio, chiaramente nei rigidi binari del politicamente corretto, .
Dalla lottizzazione multipartitica della Rai, si passò ad una vera e propria occupazione “militare” dei luoghi dell’informazione di Stato per mano di una falange del reggimento dei nuovi rampanti della politica, che impose la propria linea ed i propri uomini.
Per i dissenzienti non rimaneva che il confino.
Anche l’Alta Finanza fece la sua parte a supporto della falange potendo esercitare ogni forma di pressione sugli apparati dell’informazione detenendo il mercato della pubblicità e la proprietà dei grandi giornali.
Una volta raggiunto il controllo pressoché totale dell’informazione pubblica e trovato un compromesso con quella privata (cresciuta all’ombra della vecchia politica, ma ormai pronta a giocarsi la partita in prima persona) la programmazione del nuovo palinsesto informativo iniziò ad essere pensata a sostegno dei disegni del vorace sodalizio.
Poteri assoluti ai vertici della Banca d’Italia, silenzio assordante della stampa nazionale persino quando, dalla sera alla mattina, vennero espropriati i cittadini italiani dei propri risparmi attraverso il vergognoso prelievo furtivo del 6 per mille dai loro conti correnti.
Ad una ad una caddero tutte le partecipate pubbliche di valore, e quasi tutte le grandi reti dello Stato vennero offerte in gestione ai privati a fronte perlopiù, di concessioni di comodo.
Era nata la Seconda Repubblica!
Il nuovo vento di sinistra era quello appena descritto e la nuova destra non era certo quella sociale, ma quella del più facoltoso imprenditore italiano.
Oggi dopo più di vent’anni ci troviamo dinanzi ad un cittadino disorientato, per troppo tempo preso in giro, proditoriamente vessato, espropriato finanche della propria identità, e spesso senza lavoro …
Da tali infausti presupposti nasce quindi, l’attuale Terza Repubblica.
Al momento il quadro ci pone dinanzi alcuni personaggi totalmente nuovi, sostenuti probabilmente anche da buoni propositi, spesso con programmi raffazzonati o forzosamente negoziati.
Si respira purtroppo clima di persistente avventatezza, talvolta scarsa preparazione ed un’esperienza quasi inesistente.
Ma il popolo evidentemente non ne poteva proprio più delle vecchie consorterie, delle lobbies, del politicamente corretto, dell’agire infingardo e menzognero e pur intravedendo nei nuovi tanti difetti si è affidata a loro nella vana speranza che migliorino strada facendo.
La mia speranza è che si giunga presto ad una Quarta Repubblica. Prima che sia troppo tardi.
“Che Dio ci scampi e liberi dal recente ignobile passato, ma al contempo, ci protegga dai demagoghi, dai dilettanti e dai cinici avventurieri”.
Quando vedrò nuovamente la piccola e media impresa rinascere, il turismo svilupparsi, la vera cultura rifiorire, il rispetto per le istituzioni riaffermarsi, la sana agricoltura prosperare, l’ambiente effettivamente tutelato, la burocrazia semplificarsi, il lavoro rinascere a fronte di meccanismi veri di inserimento professionale, le grandi opere infrastrutturali realizzarsi, e le manutenzioni avviate senza ragioni speculative, ma per accompagnare il processo di crescita del Paese …
Allora forse sarà nata la Quarta Repubblica in cui immagino una politica, che non abbia bisogno di odio e di nemici per affermarsi, che si avvalga della propria certificata esperienza, preparazione ed onesta, che faccia poche chiacchiere e parli in maniera perentoria esclusivamente attraverso gli atti ufficiali. Ossia per il tramite di provvedimenti chiari, inequivoci ed intelligibili in luogo di leggi artatamente fumose e contraddittorie accompagnate da inutili e fuorvianti esternazioni da mercato rionale partorite da chi ha il solo intento di perpetuare putridi interessi di bottega e la presenza di lestofanti ed impostori sugli scranni del potere.
Enrico Michetti