In Brasile si è verificata una vittoria per un soffio di Lula su Bolsonaro. La sinistra socialista, patriottica e antimperialista di Lula ha trionfato sul neoliberista Bolsonaro, che ha governato fino a questo momento e che in verità nell’ultimo tempo stava iniziando a mostrare una più spiccata tendenza filo-multipolare. Addirittura aveva guardato con simpatia alla Russia e alla Cina, di fatto opponendosi, o comunque non avallando, l’intervento statunitense nella questione del conflitto ucraino. Insomma, Bolsonaro aveva in qualche modo preso le distanze dalla propria iniziale adesione atlantista quando appariva, all’inizio del suo mandato, un fantoccio atlantista e liberale nel cortile di casa degli Stati Uniti, dacché gli Stati Uniti così da sempre intendono l’America Latina. E tuttavia non è bastato, perché i brasiliani evidentemente si sono ricordati delle origini di Bolsonaro, liberista e al tempo stesso atlantista, e hanno preferito Lula, il quale, contrariamente a come viene percepito dalle nostre sinistre fucsia, neoliberali, atlantiste – la sinistrash postmoderna – non è un giardiniere ecologista green per l’economia ambientalista del capitale e non è nemmeno un manifestante delle parate arcobaleno nostrane. La sinistra di Lula è una sinistra rossa, non fucsia, è una sinistra del lavoro e del patriottismo antimperialista. Tutto il contrario della risibile sinistra occidentale contemporanea, che è solo la guardia fucsia del padronato cosmopolitico. E anzi, se Lula ha vinto – a giudizio almeno di chi vi sta parlando – ciò dipende soprattutto da due fattori, uno di politica interna e uno di politica estera. Per quel che concerne la politica interna, Lula rappresenta il socialismo keynesiano, welfaristico, di contenimento degli animal spirits dell’economia deregolamentata neoliberale. I brasiliani, che hanno pure provato negli anni scorsi l’economia neoliberale deregolamentata di Bolsonaro, hanno ora scelto Lula e quindi il socialismo patriottico e democratico.
Per quel che riguarda il piano dei rapporti esteri, Lula incarna massimamente quel patriottismo socialista, sovranista, internazionalista, anti-imperialista e anti-globalista che caratterizza in fondo il socialismo rosso dei Paesi dell’America Latina, da Chavez a Fidel Castro, da Lula fino a Evo Morales in Bolivia. Insomma, a differenza della risibile sinistra cosmopolita, fucsia, arcobaleno e neoliberale d’Europa, la sinistra socialista in tutta l’America Latina si identifica con un patriottismo resistenziale oppositivo all’imperialismo basato sull’identità e sulla rivendicazione della propria autonomia, e poi anche sull’opposizione fermissima alla globalizzazione dei mercati neoliberali. Dunque, essere di sinistra nel mondo dell’America Latina è in larga parte l’opposto di quello che nell’odierna Europa, in balìa del capitalismo che si riproduce tanto a destra come a sinistra. Ed è soprattutto per questi due motivi, a nostro giudizio, che Lula ha trionfato su Bolsonaro. Benché Bolsonaro, lo ripeto, ultimamente stesse correggendo il tiro e stesse un poco alla volta discostandosi dal proprio atlantismo neoliberale di partenza. Ma questo non è bastato, dacché alla fine in Brasile hanno preferito Lula.
Non dimentichiamo che Lula ha sempre preso posizione criticamente contro gli Stati Uniti, anche per quel che riguarda la recente guerra d’Ucraina, dove ha sostenuto, anche se obliquamente, le ragioni della Russia di Putin contro l’imperialismo degli Stati Uniti e del loro fantoccio, il guitto Zelensky, attore Nato prodotto in vitro a Washington. Occorre sperare, dunque, che questa linea di condotta nell’ambito dei rapporti internazionali prosegua fecondamente e che Lula sappia rafforzare i rapporti con i Paesi non allineati in nome di un multipolarismo resistenziale rispetto all’imperialismo del dollaro.
Radioattivitià, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro