La civiltà tecnomorfa sta producendo homines vacui, uomini svuotati. Si parla spesso di società liquida richiamandosi a Bauman, e in effetti l’elemento fluido pare dominante sotto più aspetti nella civiltà dei capitali contemporanea. E tuttavia gli uomini contemporanei, oltre a essere fluidi, cioè permanentemente in movimento, privi di un contenuto proprio, sempre sollecitati a trasformazioni e all’assenza di forme fisse, sono altresì allo stato gassoso, svuotati di significato, privi di senso critico, sempre pronti a essere riempiti di contenuti che provengono dall’esterno, dalla civiltà della tecnica.
Abbiamo allora homines vacui, così li definisco, che tali sono sotto il profilo dell’identità; sono semplicemente privi di ogni identità e aperti a ogni sollecitazione, dunque sempre disposti a essere ridefiniti secondo i parametri della civiltà del nulla propria dei consumi. Sono individui svuotati di senso critico, dacché hanno già da tempo rinunziato a quella prerogativa che più di tutte, come sapeva Aristotele, ci rende umani, cioè il logos, la capacità di pensare parlando e di parlare pensando.
Ma poi sono anche privi della capacità stessa di riflettere. Viviamo nel tempo della mitologia, per dirla questa volta con Platone, cioè del disprezzo ubiquitario per il ragionamento. Si preferisce lo slogan, si preferiscono le urla, si preferisce la cifra scomposta della civiltà tecnomorfa, che è poi l’assenza di ragione e di dialogo. E poi sono svuotati di ogni contenuto legato alla tradizione. L’uomo contemporaneo pensa di essere libero nella misura in cui si affranca da ogni legame con i luoghi e con i territori, con le persone e con le tradizioni. Ecco perché la civiltà neoliberale fa prevalere l’effige stessa dell’uomo svuotato, quale emerge limpidamente dal tratto dominante della cosiddetta cancel culture, che pretende di liberare l’uomo cancellando il suo passato, rimuovendo i simboli della tradizione, producendo ancora una volta il nulla e chiamandolo progresso.
Sotto questo riguardo, l’individuo neoliberale, per definizione, è l’individuo che non ha legami con le comunità e con il passato, con il futuro e con l’eterno. È un puro atomo concorrenziale che si determina da sé e che in realtà è determinato dalla logica illogica del mercato. Un individuo che pensa di utilizzare la tecnica quando in realtà viene utilizzato dalla tecnica. Sotto questo riguardo il buon consumatore corrisponde appieno alla figura dell’homo vacuum. Il consumatore si illude di poter consumare illimitatamente l’ente, disponendone liberamente, quando in realtà egli stesso finisce per essere consumato alla stregua di tutti gli altri enti dal consumo, che è una delle prerogative della civiltà della tecnica. E, dirò di più, della sua stessa modalità di concepire l’ente in quanto tale, concependo lo cioè come fondo disponibile per il consumo e per la crescita, per la produzione e per la valorizzazione del valore.
Ecco perché gli homines vacui sono soggetti svuotati, che si illudono di essere protagonisti del loro tempo, quando in realtà sono semplicemente disposti in maniera unilaterale dall’apparato tecno amorfo della civiltà del nulla di cui siamo abitatori. La diagnosi, in questo caso, può anche valere come terapia: comprendere che siamo stati svuotati dei nostri contenuti e dei nostri legami, delle nostre tradizioni e della nostra identità può costituire il primo passo, anzi deve costituire il primo passo per riprenderci tutto, per riappropriarci di noi stessi e per resistere al nulla che avanza. Solo su queste basi potrà fiorire il progetto di un’umanità fine a se stessa.
Radioattività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro