Oggi Sri Lanka, domani ovunque

In termini banali si chiama chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Nello Sri Lanka si potrebbe chiamare il fallimento dei servizi di sicurezza e della polizia. Continuano infatti gli arresti di fondamentalisti o di loro fiancheggiatori, altri 18 soltanto oggi, decine nella giornata di ieri. Segno che si sapeva benissimo dove andare a colpire. Resta la domanda del perché non si sia agito prima e non dopo la strage che al momento ha fatto 359 vittime. Come già capitò in Bangladesh (ricordate la strage nel ristorante in cui furono massacrati anche degli italiani?) molti dei kamikaze appartengono a famiglie benestanti e sono gente istruita. Il che cancella per sempre, speriamo, l’idea che i fondamentalisti possano essere solo dei poveracci che vedono nel terrorismo e nel suicidio un modo per uscire dalla loro condizione. No, il terrorismo islamico e il suo fratellino minore il fondamentalismo è praticato anche da appartenenti alle classi più abbienti, quando non addirittura favorito da interi stati vedi Arabia Saudita, Emirati, Qatar, nostri pretesi alleati.

Una particolarità dei terroristi dello Sri Lanka è di appartenere spesso a famiglie imparentate tra loro. Ma anche questa non è una novità. La novità vera è che certamente l’Isis ha collaborato e non solo via Internet con gli attentatori, dimostrando ancora una volta una verità negata da politici arruffoni, da esperti un tanto al chilo, da commentatori che non sanno nemmeno pronunciare bene le parole arabe che riguardano il terrore (come quelli che dopo anni e anni continuano a dire Al Qaeda invece di Al Qaida, ad esempio).

La verità è questa: pur sconfitto in Siria e quasi del tutto in Iraq lo Stato Islamico, cioè l’Isis o il Daesh, o l’Isil, non è sconfitto del tutto. Anzi.

Sarà forse utile disegnare una breve mappa delle zone dove l’Isis è forte e può colpire. Può colpire ancora in Siria e in Iraq dove i sunniti o almeno importanti frange di loro vedono con orrore il dominio sciita locale, supportato dagli iraniani e dagli hezbollah libanesi e sono ben disposti a ricevere il messaggio dell’Isis. Ma soprattutto l’Isis sta espandendosi nel Sud-Est Asiatico, dalle Filippine dove (a Mindanao) i guerriglieri islamici Moros hanno alleanze sempre più strette con gli uomini del fu-Califfato. E poi in Malaysia, in Indonesia, nel Brunei. E, ora lo sappiamo, anche a Ceylon. Per non parlare dell’Afghanistan dove i rivali dell’Isis sono paradossalmente i Talebani e Al Qaida. E nel Sinkiang (già Turkestan) cinese dove il terrorismo ogni tanto fa la sua comparsa.

Ma altri focolai dello Stato Islamico sono nel ventre molle della Russia, cioè nel Caucaso. È di qualche giorno fa la notizia di importanti operazioni dell’antiterrorismo russo in Daghestan e in Cecenia dove gruppi di integralisti, probabilmente rinforzati da foreign fighters tornati dalla Siria e dall’Iraq stavano cercando di organizzare attentati e guerriglia.

Poi c’è un altro posto da sorvegliare, un posto lontanissimo. Parliamo della la città di Foz do Iguaçu, al confine tra Brasile, Argentina e Paraguay. Lì gli Hezbollah libanesi hanno basi e affari, coadiuvati dai servizi segreti iraniani. Lì i loro rivali dell’Isis si starebbero sistemando. D’altronde le comunità islamiche in America Latina sono in forte espansione.

I famosi esperti scopritori dell’acqua calda hanno poi dato l’allarme sulla possibilità che l’Isis, dopo Al Qaida, si installi anche in Libia e nel Sahel. Beh si tratta di un allarme ridicolo perché i fondamentalisti sono da tempo presenti in Libia, nel Grande sud soprattutto, in Tunisia, zona di Kasserine, nel Sahara algerino, in Ciad in Mauritania, in Mali.

Insomma, il messaggio che viene dallo Sri Lanka è questo: la lotta contro l’Isis (e Al Qaida) non è vinta e durerà a lungo.

Tralasciando poi il pericolo che molti foreign fighters europei possano tornare a casa e colpire lì (cioè qui), come lupi solitari.

Marco Guidi