Il paradosso di Soumahoro, il difensore dei lavoratori che rivendica il diritto all’eleganza

Continua senza tregua e con posizioni molto diversificate, invero, a far discutere la vicenda di Soumahoro, il parlamentare che fece il suo ingresso trionfante e rivendicativo in Parlamento, esibendosi con gli stivali infangati, a sottolineare la sua volontà di continuare strenuamente nella lotta, peraltro sacrosanta, in difesa degli ultimi, dei braccianti, degli sfruttati, dei, descamiciados oppressi nell’ambito lavorativo e soprattutto in relazione al caporalato. Questo infatti era l’identikit originario di Soumahoro, un giovane combattente che si era intestato le battaglie in difesa dei diritti dei più deboli e del lavoro. Devo dire la verità, per qualche tempo io stesso provai una innata e magnetica simpatia per le battaglie di questo ragazzo, che di fatto sembrava aver finalmente risvegliato la sinistra dal sonno dogmatico, riportandola sui binari del tema del sociale, della lotta del lavoro e per il lavoro.

Per un attimo ebbi la sensazione che non tutto fosse perduto e che la sinistra potesse abbandonare finalmente il fucsia e l’arcobaleno per ritrovare se stessa dopo la metamorfosi, tornando a essere rossa, rivendicativa, appassionata, in cerca di desideri di migliori libertà e soprattutto dell’orizzonte del lavoro emancipato. Purtroppo le mie aspettative, e credo non solo le mie, sono state rapidamente illuse e in qualche modo si è prodotta una evaporazione del sogno, che si è per così dire infranto con la dura realtà che stiamo sperimentando in questi giorni. Una realtà che una volta di più ci segnala come la New Left sia sideralmente distante dal mondo del lavoro e abbia evidentemente un altro orizzonte di senso, quello che la rende totalmente integrata nel sistema capitalistico, totalmente organica all’ordine dominante neoliberale.

La vicenda di Soumahoro, in effetti, va analizzata in chiave politica e soltanto politica per quel che mi riguarda, non intendo dunque fare cenno ad altre questioni, ma soltanto a quella politica. Soumahoro è stato attaccato dapprima per la vicenda della sua famiglia in relazione alle cooperative che trattavano giustappunto con i lavoratori. Certo, si dirà che Soumahoro non ha responsabilità rispetto a questi accadimenti, dacché non era lui a gestire la cosa. È vero. E tuttavia capite bene che già sul piano strettamente politico questo produce una ondata di indignazione da parte di alcuni. Se poi a ciò si aggiunge che sono emersi tanti dettagli mediaticamente rilevanti e lo stesso Soumahoro, in una difesa non propriamente brillante al cospetto di Formigli su La7, ha rivendicato il diritto all’eleganza, ebbene, capite bene che, sempre sul piano politico, vi è davvero di che strabuzzare gli occhi. In effetti, al cospetto di Formigli, che gli faceva notare come la compagna, la sua dolce metà, amasse esibirsi ostentando il lusso, Soumahoro ha detto testualmente che non c’è nulla di male dacché vi è il diritto all’eleganza. Ora, una siffatta frase se fosse stata pronunziata da Briatore o da Daniela Santanchè, che sempre hanno in qualche modo fatto pubblica ostentazione del benessere senza mai nasconderlo, e devo dire anche con una certa onestà intellettuale, in questo caso qualcosa di diverso accade, perché abbiamo un personaggio che dice di voler difendere gli ultimi e poi aderisce ai moduli narrativi dei primi, quelli che di fatto ostentano il benessere e financo l’eleganza.

Tutto qui è poi il paradosso della situazione Soumahoro, sul piano politico, a mio giudizio, l’ennesimo sogno che non si è rivelato tale delle sinistre che forse potevano ripartire dal lavoro e che invece si sono rivelate ancora una volta organiche all’ordine del discorso dominante, quello del capitale, quello della ricerca dell’infinito, che poi è la metafisica stessa del capitale.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano, con Diego Fusaro