“La vita di un drogato e di chi gli sta accanto è una rinuncia…”

E' giusto cambiare, mettere in discussione sé stessi e la propria vita, per amore di qualcuno?

Io per lei ho deciso di cambiare, di smettere di rovinare sempre tutto cantava Pino Daniele nel 1995. Tante volte l’amore mette di fronte a delle scelte importanti. E altrettante volte ci si mette in discussione, si sceglie di sacrificare una parte di sé per amore di qualcuno, si cambia vita, la propria, per seguire quella di qualcun’altro. Giusto o sbagliato non importa, la vita è fatta di scelte. Si può solo imparare: dalle proprie decisioni, dai propri sbagli, dalle valutazioni azzeccate. E, perché no? Dalle esperienze degli altri. Ecco una storia. Una storia di scelte, appunto: quelle di una donna coraggiosa che con l’aiuto della Comunità Giacomo Cusmano è riuscita a tirare fuori il meglio di sé, della sua famiglia e dell’uomo che ama.

Una difficoltà di suo marito l’ha posta di fronte a una scelta: mettere da parte sé stessa per aiutare lui. Di cosa si tratta?

La difficoltà di mio marito era una dipendenza da cocaina che risaliva a tanti anni prima di conoscerci. Una volta che mio marito me l’ha confidata è stata affrontata da par te mia come si potrebbe affrontare un problema con una persona che è in grado di scegliere e capire che deve fare un cambiamento e curarsi. La consapevolezza di cosa significa avere una dipendenza l’ho “appresa” solo successivamente. Durante tutti gli anni passati insieme ho sempre pensato che mio marito avrebbe capito e avrebbe quindi cambiato i suoi comportamenti e atteggiamenti di vita.

Cosa è successo dopo?

Questo loop, da parte mia una non-comprensione del problema e da parte sua la dipendenza e ciò che ne deriva, ha portato a una mia profonda esasperazione sfociata in una iniziale presa di posizione di rottura e contrapposizione. Non è stata una scelta ponderata e consapevole, è stata quasi una scelta protettiva e salvifica per me e nostro figlio. Quando con enorme coraggio ho vietato a mio marito di tornare a casa la situazione era questa.

Questo fatto “traumatico” è stato però terapeutico per entrambi. Nel periodo in cui mio marito è stato fuori casa, ma non ancora in comunità, abbiamo capito tutti e due che la famiglia e tutto ciò che questo rappresenta per noi è il fulcro del nostro essere e del nostro amore, e che per questo bisogna lottare con tutte le forze, come leoni. Questa consapevolezza ha portato mio marito ad affrontare il percorso di cura, abbiamo consultato la responsabile terapeutica della Comunità Psicoterapeutica Giacomo Cusmano ad Anguillara Sabazia e, attraverso il loro supporto, siamo riusciti a tenere compatta la nostra famiglia e proteggere nostro figlio, che aveva al tempo 10 anni.

Ci parli del vostro percorso con la Comunità Psicoterapeutica Giacomo Cusmano…

La volontà di mio marito di affrontare un percorso in Comunità è stata possibile perché abbiamo incontrato un gruppo di professionisti e volontari che ci hanno trasmesso un messaggio di reale aiuto, di supporto e speranza, che era quello di cui avevamo bisogno in quel momento. Ci siamo affidatati a loro, sempre.

Mio marito è stato in Comunità poco più di 5 mesi. In quei mesi ho visto un cambiamento continuo e costante, un uomo concentrato a capire i propri meccanismi emotivi, le proprie debolezze, supportato da professionisti capaci ed inflessibili. Io dal lato mio ho frequentato le riunioni di Gruppo dei familiari che sono un supporto a capire che non sei solo, che altri capiscono ciò che le persone vicino a te non possono capire sino in fondo… Tutte le domeniche mio figlio ed io andavamo in Comunità per stare con mio marito e con il papà. In questi cinque mesi a casa con nostro figlio ho lavorato per dare un segno di continuità, di famiglia anche se il papà era lontano. Mi sono dedicata al bambino con affetto “doppio”, mantenendo sempre il legame con il papà con le telefonate quotidiane serali.

Oggi mio marito è a casa, lavora, è un papà contento con un bambino felice, siamo sereni nel nostro quotidiano. Siamo stati ripagati dei sacrifici fatti.

A cosa ha dovuto rinunciare della sua vita personale per seguire il percorso di suo marito?

Mi chiedete e parlate di rinunce… La vita di un drogato e di chi gli sta accanto è una rinuncia. Perché lui rinuncia alla vita e le persone che gli stanno accanto rinunciano ad essere se stessi. Perché la dipendenza fagocita tutto e tutti. Io ho voluto rinunciare a non vivere più, ho deciso per tutti… Ho smesso di lavorare nella società in cui lavoravo da 10 anni, non per scelta personale. Questo fatto però l’ho voluto gestire a nostro vantaggio, mi sono dedicata ancora di più alla famiglia, a lui, ma anche a me stessa. Avevo bisogno di ritrovare un po’ di serenità e me stessa.

Oggi posso dire che mi è andata bene, ci è andata bene. All’inizio reagisci d’istinto, non sei consapevole delle conseguenze perché non ne puoi più… Poi hai la fortuna di incontrare una Comunità che ti dà speranza, ti affidi. Lavorano benissimo, ma soprattutto – e questo lo dico con grande amore – mio marito ha avuto la capacità di cogliere l’opportunità e di capire, da uomo intelligente, che aveva la possibilità di lavorare su sé stesso e di uscire da una vita che non viveva.

Rifarebbe le stesse scelte?

Ci sono stati momenti, soprattutto all’inizio, in cui ho pensato che dovevo pensare a me stessa ed a mio figlio. Oggi posso dire che questa è la mia vita e la vita che volevo, che le difficoltà e quelle che sembravano rinunce non lo sono state, sono stati dei passaggi, dei momenti difficili che la vita ci riserva.