La Banca centrale europea continuerà ad alzare i tassi. Succederà che il membro del board Isabel Schnabel ha ribadito che gli aumenti saranno significativi e a ritmo costante, per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi tali da garantire un ritorno tempestivo dei prezzi, dice lei, al nostro obiettivo a medio termine del 2%. L’inflazione, ha ricordato Schnabel guardando all’esperienza degli anni 70, non si placherà da sola. Parlando al simposio organizzato dalla Risk Bank, banca centrale svedese sull’indipendenza delle banche centrali, la Schnabel ha definito il carovita una vera e propria tassa sugli investimenti. Ha affermato che per risolvere il problema e ripristinare tempestivamente la stabilità dei prezzi è inevitabile che le condizioni di finanziamento dovranno diventare restrittive.
Si consolidano in questo modo sempre di più gli orientamenti già emersi dagli altri membri di Francoforte, oltre che le impressioni già emerse nelle ultime riunioni del comitato direttivo. Ormai non bisogna più essere un analista per capire che la Banca centrale europea aumenterà i tassi di altri 50 punti base nei prossimi meeting di febbraio e marzo, per poi probabilmente rallentare in primavera con un aumento del di 25 punti. Questa notizia che gira sui giornali economici a partire da Milano Finanza è una notizia che riguarda la decisione della Banca centrale europea di alzare i tassi, cioè di fare tecnicamente una manovra restrittiva perché il costo del denaro aumenta di più.
Quindi secondo questi signori è necessario fare un aumento dei prezzi del denaro del tasso di sconto per abbassare l’inflazione. Un modo di ragionare completamente sbagliato perché dobbiamo distinguere l’inflazione dalla deflazione, cioè dobbiamo distinguere una situazione nella quale c’è un aumento dei prezzi ma anche un aumento dei salari, dove si crea occupazione, le imprese investono, da una logica ideologica come quella della Banca centrale europea in cui l’unico interesse è quello di questo feticcio dell’inflazione. Loro pensano soltanto al 2% ma se ne fregano degli stipendi dei lavoratori, se le imprese chiudono. Il fatto che le imprese a questo punto avranno un costo del denaro più alto e se aumenta il costo del denaro aumenta tecnicamente il cost of debt cioè il costo del debito, perché aumentano i rischi e quindi il costo del capitale di rischio e anche il costo medio ponderato del capitale tradotto.
Secondo me un errore strategico gravissimo.