Il sistema complessivo dell’Unione europea e degli Stati membri vive una fase di transizione molto confusa. Da un lato, gli Stati membri devono soddisfare gli interessi che gli ordinamenti e la stessa Unione europea impone. Dall’altro, l’Unione europea deve realizzare l’obiettivo del cosiddetto mercato comune. L’Italia è stata nei decenni fra i paesi più zelanti nel procedere alle privatizzazioni, privando però le imprese pubbliche degli strumenti che avevano a disposizione, salvo nei servizi pubblici locali dove si è proceduto alle privatizzazioni senza un disegno strategico che invece altri Paesi dell’Unione europea hanno mantenuto.
Le grandi società azionarie nazionali, come l’Enel o l’Eni, mantengono una quota di capitale pubblico limitato che ne assicura un controllo molto difficile a fronte di contesti come invece quello francese, dove l’autorità statale ha una salda presa su aziende capaci di espandersi all’estero e di rappresentare il paese all’estero. La reazione a questo insensato modo di comportarsi della politica e dell’Autorità garante della concorrenza non può essere quella del ritorno a un precedente sistema che aveva registrato la pubblicizzazione di una grande fetta di imprese italiane, ma deve essere quello di impostare un diverso approccio culturale che eviti gli apriorismi ideologici, che sappia contenere e sappia selezionare i vantaggi e gli svantaggi delle imprese pubbliche nel contesto dato, creando un sistema Paese con gli operatori pubblici e privati che procede in modo sinergico alle logiche europee.
Questo ragionamento è un ragionamento che faccio avendo visto dagli anni 90 e avendo anche votato a favore in Parlamento della privatizzazione delle imprese italiane. Un mio errore imperdonabile di gioventù. Io credo di avere commesso un grave errore perché all’epoca uscivo dalle università e come tutti i giovani ci insegnavano che privato è bello e pubblico è male.
A distanza di trent’anni da quel periodo devo riferirvi che questa ideologia del privato che è bello il privato, ed è brutto il pubblico, è una sciocchezza che serviva soltanto a svendere al privato beni pubblici, ad amici o comunque a, diciamo società compiacenti che per un certo periodo, per lo meno fino alla Prima Repubblica è stato impedito. Dopo invece c’è stato un po’ il mercato delle vacche. Questa è la realtà italiana. Altri paesi, come ad esempio la Francia citata, sono stati molto più scaltri. È assolutamente saggio, invece, in termini di strategia di un Paese, mantenere il controllo politico sulle aziende strategiche.