“Mi sono occupato dei fatti di Maidan, un po’ il peccato originale dell’Ucraina che ha fatto sì che la storia di quel paese inevitabilmente ed irreversibilmente cambiasse. Ho documentato e sono stato tra i primi a parlare di un colpo di stato di gruppi paramilitari di estrema destra. Ho continuato a seguire la guerra civile fino ad oggi. Il mio lavoro è più o meno circolato: venivo invitato nelle scuole, nelle università, a spiegare questo conflitto sconosciuto, a parlare di questo Donbass che nessuno sapeva dove collocare su una mappa“.
Tutte cose che il reporter Giorgio Bianchi ci racconta in diretta a “Un Giorno Speciale”.
Tuttavia, nonostante tutto ciò, i principali mezzi d’informazione hanno preferito chiamarlo “putiniano“.
Senza se e senza ma, nonostante l’ampio riconoscimento generale nei confronti del reporter, inserito nella lista dei famosi “putiniani d’Italia”, e dei suoi servizi che da otto anni si configurano come un non poco importante mezzo d’informazione sul mondo geopolitico e non solo. Improvvisamente, è diventato un cialtrone ed un putiniano insomma, come racconta Bianchi: “Se tu parli di Ucraina e dici che ‘la situazione è più complessa’, sei un putiniano“.
La denuncia del reporter va quindi contro quel rifiuto della “complessità”, quella negazione dell’approfondimento che nella filosofia del metodo giornalistico non può essere contemplata. “Così vanno le storie, no?” – commenta Fabio Duranti.
“Funziona così quando sei un giornalista d’inchiesta, un foto reporter, una persona che fino a ieri si è sporcata le mani“.
“Ormai fanno gli articoli con Google Traduttore” – racconta Bianchi.
“C’è mai stato un giornalista che si è occupato di sanità pubblica, che è andato lì, ha messo il microfono in mano a questi soloni e li ha incalzati? Gli ha chiesto conto delle loro affermazioni? Oggi lo stesso discorso vale per la geopolitica“.