Meta è stata condannata a pagare una maxi multa: il Garante della privacy irlandese ha messo in conto all’azienda di Zuckerberg 1,2 miliardi di euro. Il motivo è sempre lo stesso, ovvero la vendita illecita di dati personali degli utenti che usufruiscono dei servizi di Zuckerberg. L’autorità irlandese per la protezione dei dati Dpc, come riporta AdnKronos, ha decretato una multa senza precedenti.
Una sanzione che ha superato anche quella che l’Antitrust impose ad Amazon per abuso di posizione dominante.
La multinazionale statunitense avrebbe violato il Gdpr, il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’UE.
In particolare l’Unione Europea ha condannato Meta per aver trasferito illecitamente i dati dall’Europa agli Stati Uniti.
E non si tratta ovviamente di una cosa da poco, né di una questione sorta da breve tempo.
La vicenda iniziava infatti nel 2015, quando l’Unione Europea affossò ufficialmente il Safe Harbor (“Porto sicuro”).
Si trattava di un accordo tra UE e USA che legittimava quest’ultimi ad assimilare i dati degli utenti europei e a trattenerli a Washington.
A destare però i primissimi sospetti sulla questione fu il whistleblower Edward Snowden, ex Nsa (National security agency).
Snowden sollevò un enorme polverone rivelando come questi dati non fossero poi così protetti e al sicuro, come assicuravano invece in casa Facebook. I dati europei infatti, come riportava l’ex Nsa, sarebbero sempre poi finiti in possesso dei servizi segreti USA con scopo di sorveglianza e spionaggio di massa.
E fu proprio a seguito di queste dichiarazioni che Max Schrems, attivista austriaco per i diritti digitali, denunciò e trascinò la questione nel grande palcoscenico europeo. Dal suo cognome provengono infatti le due sentenze UE (Schrems I e II).
Verdetti che avevano già condannato Facebook & Co a rivedere quei trasferimenti e ad adattarsi a regole ben precise.
Regole che però Meta avrebbe sempre ignorato, come denunciavano al tempo gli attivisti di Noyb, fondato dallo stesso Schrems.
Di conseguenza a seguito della sentenza UE, Zuckerberg avrebbe già dovuto interrompere quei trasferimenti tra i due continenti.
Cosa che però il patron di Meta non ha mai fatto.
Ed ecco che si arriva così al termine di una diatriba decennale conclusasi oggi con la maxi multa.
Meta ha ora cinque mesi di tempo per restituire tutti i dati transitati tra i due continenti. Tuttavia, Zuckerberg potrebbe sperare in un ipotetico accordo tra Unione Europea e Stati Uniti. Un nuovo accordo che legittimerebbe, ancora una volta, il passaggio transatlantico di dati.
La reazione
Il ceffone lanciato a Meta dal Garante irlandese non è ovviamente andato giù alla compagnia del multimiliardario statunitense.
Meta ha infatti da subito annunciato il ricorso. “Ricorreremo in appello contro la sentenza, compresa la multa ingiustificata e non necessaria, e chiederemo una sospensione degli ordini in tribunale” – hanno dichiarato Nick Clegg, presidente Affari Globali di Meta, e Jennifer Newstead, Responsabile Legale. “Dalla finanza alle telecomunicazioni, fino ai servizi pubblici essenziali come l’assistenza sanitaria o l’istruzione, la libera circolazione dei dati è alla base di molti dei servizi su cui facciamo affidamento“.
E per tentare di ingraziarsi il favore dei suoi milioni di utenti – i cui dati sarebbero stati venduti senza consenso esplicito – Meta continua: “Il danno che questi ordini causerebbero si scaglierebbero anche ai milioni di persone che usano Facebook ogni giorno“.
Si conclude così uno scontro epocale in materia di diritti digitali. Uno scontro che in ogni modo ha evidenziato una frattura, almeno in questi spazi, tra il vecchio continente e quello nuovo. Una battaglia in cui le multinazionali made in Usa si ostinano a voler adattare il resto del mondo ai propri personalissimi criteri.