Siamo italiani, la cultura del sospetto non c’era neppure bisogno di instillarcela: ci siamo nati, l’abbiamo assorbita attraverso il liquido amniotico. Questa la premessa.
Detto ciò, il pomeriggio romanista di ieri è stato imbarazzante da ogni punto di vista: ore di accuse e provocazioni dette e scritte, con tanto di “coda” rappresentata dalle dichiarazioni particolari di Gasperini sulle sue preferenze tra Coppa Italia e piazzamenti; poi la squadra va in campo a Genova ed esibisce una prestazione che tecnicamente vale una sufficienza stentata, agonisticamente è da bocciare senza se e senza ma, a fronte di un avversario che, più debole a livello qualitativo, poteva attaccarsi solo al furore agonistico e al fallo tattico. Così gli uomini di Prandelli hanno fatto, anzi: hanno potuto fare, perché la Roma glielo ha consentito.
La squadra di Ranieri ieri si giocava moltissimo, il mandato a vincere tutte le ultime quattro partite era preesistente agli esiti di Lazio – Atalanta, anche perché una vittoria orobica andava messa in conto a prescindere dalle modalità con le quali sarebbe arrivata. La Roma ha esibito un palleggio sterile, un possesso di palla fine a se stesso, un ritmo monocorde senza variazioni: elementi che hanno consentito al Genoa di fare il tipo di partita che aveva in serbo, l’unico che poteva permettersi. Come se a dover lottare per un obiettivo fossero solo i rossoblu.
Poi si è aggiunta un’aggravante a queste accuse: vantaggio comunque trovato a otto minuti dal termine del tempo regolamentare e mancanza di attenzione ai particolari per difenderlo fino al triplice fischio. Fate voi.
La prossima volta che ci ritroveremo a formulare dei retropensieri, speriamo che non arrivino i retropassaggi di N’Zonzi, o chi per lui, a vanificarli. Sarebbe doppiamente frustrante.
Paolo Marcacci