“Crediamo fermamente che avremo successo“.
A parlare è il presidente ucraino Zelensky. Il piano di cui parla? Una controffensiva.
In un’intervista al Wall Street Journal, riporta Ansa, Zelensky ha espresso così la sua volontà di accelerare inevitabilmente le fasi di una guerra che sembra essere sempre più vicina e concreta.
“Un gran numero di soldati morirà“, ha specificato riconoscendo un qualche tipo di superiorità militare russa.
Si è dimostrato poi anche preoccupato in merito alle elezioni USA del prossimo anno: “Ad essere onesti, quando si parla di un cambio di amministrazione – ha spiegato Zelensky – mi sento come qualsiasi altra persona: si desidera un cambiamento in meglio, ma può anche accadere il contrario“. In concomitanza con le iniziative strategiche del presidente ucraino, un’altra situazione rischia di espandere l’area della guerra.
In Kosovo è esploso recentemente uno scontro.
Nei giorni scorsi nell’area nord ci sono state le elezioni comunali, dove la popolazione serba, la maggioranza in quell’area, non ha votato per protesta. Conseguenza: sono stati eletti consiglieri albanesi. Ai serbi non è andata giù e si è riacceso lo scontro.
La Nato dunque ha mandato la Kfor, un mini esercito per “risanare” il conflitto. Quel conflitto che negli anni ’90 aveva già procurato una guerra non indifferente, tanto che la Nato si unì per fermare la guerra tra Jugoslavia e Kosovo, tramite dei bombardamenti.
In diretta a Punto & Accapo, Francesco Borgonovo, vicedirettore de La Verità, mostra un elemento che già negli anni ’90 potrebbe aver provocato quei bombardamenti della Nato in Serbia, nel 1999, quando morirono, riporta Agi, più di 2.500 civili.
E la domanda è: può accadere di nuovo? Magari con Putin?
Cosa si diceva al tempo dei bombardamenti in Serbia del 1999?
“Ho recuperato vecchi articoli e libri usciti dopo la guerra in Serbia – racconta Borgonovo – quando c’è stato un massacro incredibile con i bombardamenti della Nato sulla Serbia, che ancora oggi i serbi si ricordano.
E c’era tutto uno schieramento compatto degli editorialisti italiani che dicevano le stesse cose di oggi.
Ci dicevano: ‘Milosevic è il nuovo Hitler, bisogna andare a bombardarlo, bisogna distruggerlo e bisogna fermarlo ogni costo’.
‘Si deve fermare questo pazzo che altrimenti distruggerà tutto il continente’.
Pierluigi Battista su La Stampa dell’aprile 1999 parlava di quest’idea di chiamare i nemici ‘nuovi Hitler’. Secondo lui era pericoloso.
Prima di tutto perché stiamo paragonando due cose di proporzioni diverse, in riferimento a Milosevic.
E poi perché serviva a spingere l’intervento con le bombe, no? E quindi serviva a far passare in secondo piano ogni altra sofferenza“.
Per gli editorialisti dell’epoca, racconta Borgonovo, bisognava bombardare il “nuovo Hitler” con ogni mezzo, perché “con lui non si può trattare“. Un classico esempio del paradosso di Popper: tollerare l’intollerante?
Ma Borgonovo vuole evidenziare: “Guardate un po’: sono gli stessi discorsi, identici, che si sentono oggi con Putin.
Questa retorica qui della guerra umanitaria, ‘c’è il cattivo, il super cattivo, c’è il nuovo Hitler’, è servita nel corso degli anni a giustificare i peggiori interventi.
Sono le stesse tecniche di comunicazione mediatiche. Potrebbero queste cose servirci da lezione per evitare un escalation che a me continua a sembrare abbastanza probabile. Specie se poi si prosegue con l’attacco in territorio russo“.