Covid, fake news e Mark Zuckerberg finiscono di nuovo nell’occhio del ciclone.
A trascinare Meta (la società di Facebook, Instagram e Whatsapp) in un terremoto mediatico è lo stesso creatore del social.
In un’intervista rilasciata nel podcast dell’informatico Lex Fridman, Zuckerberg ha ammesso pubblicamente di aver ricevuto varie richieste di censura sui post ritenuti “pericolosi” sul Covid. “Sfortunatamente – dice l’Ad di Meta – penso che una buona parte dell’establishment si sia confuso su numerosi elementi fattuali e abbia chiesto di censurare moltissime notizie che, a posteriori, si sono rivelate quantomeno dibattibili se non addirittura vere”. E conclude: “Questo alla fine ha logorato la fiducia dei cittadini nelle istituzioni“.
L’establishment statunitense avrebbe così fatto pressioni sui vari social network con un unico obiettivo: fermare la presunta disinformazione. Ma il CEO di Facebook in passato spacciava tale coercizione come una “voglia popolare”. “La nostra comunità ci chiede costantemente di fermare la diffusione della disinformazione”, diceva nell’ottobre del 2019 nel corso di un’audizione alla commissione servizi finanziaria della Camera. E ad ora, lo stesso Zuckerberg precisa: “Non c’era stato tempo, all’inizio della pandemia, di esaminare completamente quel mucchio di ipotesi scientifica“. Giusto dunque cancellare a priori qualsiasi informazione volta a saperne di più, nonostante non ci fosse ancora la supposta “verità scientifica”?
Un’indagine, quella delle pressioni governative, che il The Epoch Times riportava già svariate volte negli anni del Covid.
Pressioni che proprio il multimiliardario statunitense definisce “ovviamente cattive“, oltre che vicine ad atteggiamenti “punitivi o vendicativi, del tipo: voglio che tu faccia questa cosa. Se non lo fai, cercherò di renderti la vita difficile in molti altri modi“.
Nel settembre 2022, il quotidiano con sede a New York svelava documenti e chat su quelle sospette intimazioni.
In particolare quelle mail, in cui compare anche il nome di Anthony Fauci, immunologo statunitense che ha di recente ricevuto la laurea ad honorem a Siena, parlano di oltre 50 dipendenti dell’amministrazione Biden e di 12 agenzie USA, coinvolti nella grande spinta alla censura nei social media. D’altronde lo scriveva nero su bianco anche il Dipartimento americano della Salute: “La disinformazione sanitaria è una seria minaccia alla sanità pubblica“.
L’ombra della censura torna sempre in nome del “bene comune”, nonostante quelle informazioni “dannose”, a detta dello stesso Zuckerberg, non si siano poi rivelate così errate.
Meglio insistere su cose ritenute definitivamente sbagliate. “Tipo lo sfruttamento sessuale dei bambini“, aggiunge il Ceo di Facebook.
Lo stesso giorno esce poi lo scoop del Wall Street Journal che lo inchioda: “Instagram sponsorizza i pedofili, l’algoritmo li aiuta”.
Ma quella è un’altra storia.
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