Seguitano a moltiplicarsi assurdamente gli sfregi ai danni del colosseo. Tutto principiò allorché, qualche settimana addietro, un ragazzo inglese incise sulle eterne pareti del monumento romano il nome della propria amata. Sembrava un gesto d’amore a tutta prima, ma si trattava in realtà di un gesto vandalico, come subito venne recepito.
In effetti parve inizialmente un riprovevole episodio isolato, un caso a se stante, prontamente individuato e giustamente punito con pene draconiane. Purtroppo non era così, non si trattava di un episodio casuale di un evento a se stante, era per cosi dire soltanto il primo episodio di una lunga serie, per dirla in termini filmici, che giustappunto non ha smesso di andare in onda, collocandosi a cavaliere tra il genere thriller e quello horror.
Una domanda sorge allora spontanea e direi di più ineludibile: che cosa può indurre un essere normodotato e dunque detentore di quel logos che ci caratterizza e ci contraddistingue dagli altri animali, che cosa può indurre un essere umano a commettere un gesto tanto stupido ed insignificante, che cosa può davvero spingere un essere umano a deturpare un patrimonio culturale e storico dell’umanità, un vessillo della nostra civiltà, un emblema della nostra dignità di esseri umani in grado di determinarci nella grandezza artistica e nella realizzazione di opere poderose come il colosseo? Naturalmente non vi è un’unica risposta possibile, ma se ne possono azzardare alcune.
Ad esempio vorrei ricordare come stiamo vivendo nell’era dell’individualismo iperbolico, quell’epoca che è rappresentata iconicamente dal selfie.
Il selfie è la celebrazione parossistica che l’individuo fa di se stesso, sempre e comunque ponendosi al centro di tutto, ricordando in ogni luogo che il centro di tutto è il proprio io, la propria soggettività, il proprio ego smisurato e per così dire meringato che cresce sul nulla. Cultura del narcisismo, la chiamava decenni orsono Christopher Lasch, ma in questo caso la parola cultura appare davvero fuori luogo sotto ogni profilo.
Si tratta, a ben vedere, di una delle molteplici determinazioni di quella pulsione pantoclasta e nichilista che tratteggia l’orizzonte di senso, o se preferite di non senso del nostro miserrimo tempo. Il tempo della cancel culture, cancellazione della cultura, il tempo del relativismo assoluto e della dittatura dell’individuo che si pensa centro del mondo.
Forse questa potrebbe essere una plausibile e possibile chiave ermeneutica per interpretare dei precabilissimi fenomeni come quelli di cui stiamo discutendo, fenomeni i quali, pur diversi tra loro per diversi aspetti, hanno come trait d’union l’individualismo nichilista esasperato, la distruzione di tutto ciò che di grande è stato prodotto e in questo senso appaiono paradossalmente perfettamente coerenti con lo spirito del nostro tempo, lo spirito di un tempo senza spirito.
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