Secondo alcune proiezioni diffuse nei giorni scorsi dal Sole 24 Ore, vale a dire da quello che è a tutti gli effetti figura come l’osservatore romano della globalizzazione turbocapitalistica, i giovani sotto i 35 anni sono destinati ad andare in pensione, pare, a 74 anni, peraltro con pensioni davvero bassissime. Nulla di strano, se si considerano le nefaste tendenze in actu della globalizzazione neoliberale in quanto tale, la quale globalizzazione distrugge con solerzia impareggiabile i diritti sociali e l’intero sistema welfarista in nome della competitività planetaria. Quella competitività planetaria che, per inciso, chiama privilegi i diritti e poi li smantella definendo tale smantellamento “lotta contro i privilegi”, l’abbiamo compreso già da tempo.
La globalizzazione neoliberale non fa rima con democrazia e con diritti, anche se continuamente si autocelebra come trionfo della libertà. In realtà, la sola libertà che la globalizzazione neoliberale promuova è la libertà dei mercati e per i mercati, vale a dire per le classi dominanti, laddove per i più, per i descamisados della globalizzazione stessa, la libertà globalista coincide con la miseria, con lo sfruttamento, con la perdita dei diritti e con un costante peggioramento della propria condizione di vita.
Ebbene, per la prima volta negli ultimi 50 anni le nuove generazioni, quelle nate all’indomani del crollo del muro di Berlino, quelle nate a capitalismo integrale, hanno aspettative calanti rispetto ai padri. Era una tendenza radicata nella società europea dagli anni 50 in poi, quella per cui i figli avevano aspettative maggiori rispetto ai padri.
Questo processo si è inesorabilmente arrestato e i nati dopo il 1989 sperimentano un peggioramento delle loro aspettative e delle loro stesse condizioni di vita. Ed è curioso che ciò accada proprio in quella cornice storica post 1989 che ci avevano garantito con squilli di tromba avrebbe donato libertà, diritti e democrazia a tutti.
La verità, ormai inconfutabilmente evidente, e che con il 1989, come già si diceva, non ha vinto se non la libertà di mercato. Quella libertà che, nella forma di un vero e proprio fanatismo economico, sta producendo danni universalmente visibili, dei quali la questione pensionistica che stiamo trattando è solo uno dei tanti. Certo non trascurabile, certo di grande rilievo, ma non il solo danno che deve essere sottolineato. Ecco perché il lavoro della critica, oggi più che mai, sta nel modificare l’immagine del mondo, nel decostruire quell’ordine delle cose che si presenta come il solo possibile, celebrandosi per le proprie virtù o molto più spesso presentandosi come fatalmente destinato a essere così in eterno. La questione pensionistica che stiamo affrontando e che già in Francia è stata affrontata in maniera molto radicale da chi ha protestato contro le riforme pensionistiche in atto è la spia che ci segnala il regresso, che pure viene verniciato in tinta arcobaleno e chiamato progresso tipico della civiltà neoliberale di cui, nostro malgrado, siamo abitatori.
RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro